Gino Cervi, scrittore e giornalista, è autore di volumi di storia dello sport e curatore di guide turistiche (tra cui molte del Touring Club Italiano). Cultore di storia del ciclismo e di letteratura di viaggio, ci racconta storie di bicicletta, a partire dal Giro d'Italia 2016
E poi arrivarono le montagne perché senza le montagne non ci sarebbe la leggenda del ciclismo. E senza le montagne il Giro d’Italia… non sarebbe il Giro. Il Giro d'Italia si arrampicò per la prima volta oltre i 2000 m già nel 1911, alla sua terza edizione: i 2030 m del colle del Sestrière vennero conquistati dal mitico Petit Breton. Poi, fino agli anni ’30, le vere asperità furono quelle appenniniche, tra Adriatico e Tirreno – il valico del Macerone, Rionero Sannitico, Roccaraso, Ariano Irpino – , o tra Pianura Padana e Riviera ligure – il Bracco, la Scoffera, la Bocchetta, il colle di Tenda. 
Temibili erano alcune salite tra Romagna, Umbria e Marche, e in particolare tra Sannio e Irpinia. Nel 1921 entrò in scena, a far da rampa di lancio nell’ultima tappa del Giro verso il traguardo finale di Milano, la breve ma aspra ascesa del Ghisallo, tra i due rami del lago di Como.
La salita consacrò gli sforzi dei corridori con la presenza di un piccolo santuario dedicato alla Madonna, divenuto poi luogo di particolare culto ciclofilo: nel 1949 addirittura una bolla pontificia accoglie la proposta di eleggere «la Beatissima Vergine Maria, sotto il titolo del Ghisallo, Principale Celeste Patrona presso Dio dei Ciclisti italiani». Oggi a fianco della chiesetta a preservare e coltivare la memoria storica del ciclismo sorge il bellissimo Museo Madonna del Ghisallo, nato grazie alla tenace volontà di un grande campione del passato: Fiorenzo Magni
I PROFANATORI DEL RITO
Devozione, luogo della memoria, passione collettiva: le montagne sono i veri luoghi sacri del ciclismo. È qui che si raccoglie in massa il popolo della bicicletta per assistere al rito, quasi sacrificale, della fatica stremante di scalare la cima. Un rito collettivo che nella sua liturgia dovrebbe prevedere estasi ed entusiasmo, termini entrambi che appartengono al campo semantico del sacro – ma soprattutto devozione e memoria. 
Risulta lapalissiano quanto poco siano devoti e memori, in questi recenti anni, i penosissimi e pericolosissimi “tifosi” che in variegate ma inevitabilmente idiote forme si agitano a fianco dei corridori in salita. Nel mar Rosso di folla che tracima dai bordi e che a stento si apre al passaggio dei battistrada immancabilmente ecco palesarsi, deleterio effetto collaterale della sovraesposizione mediatica, l'involontario pagliaccio mascherato o nudo, comunque esagitato. 
Nella cronometro dell'Alpe di Siusi Vincenzo Nibali è stato urtato da un tifoso, la bicicletta ha subito un danno, forse anche minimo, ma decisivo in una prova che si gioca sul filo dei secondi. Il siciliano ha dovuto fermarsi e cambiare bicicletta. Probabilmente la sua prestazione non sarebbe stata comunque al livello dei migliori – perché l'imponderabilità di una corsa a tappe ammette che chi il giorno prima andava a mille può trovarsi l'indomani con le gambe in croce – ma è davvero increscioso che il risultato sportivo venga, se non determinato, sicuramente condizionato dalla stupidità di un carneade in cerca di mezzo secondo di celebrità.
La TV fa di questi scherzi. Impensabile che nell'epoca radiofonica di Mario Ferretti che annunciava via etere “Un uomo solo al comando, la sua maglia è biancoceleste, il suo nome è Fausto Coppi” potesse accadere tutto ciò. L'immagine televisiva corrode il mito, lo svela fino all'impudicizia, ne mostra le miserie che lo contornano. Come quella del tifoso senza memoria che diventa inconsapevolmente profanatore del proprio idolo.
“BICI CHIAMA PACE”
Questo ciclismo “calcistizzato” è una brutta deriva antropologica. Per fortuna c'è chi tenacemente, coraggiosamente prova a mettere in circolo i giusti antidoti. Come “Libri nel Giro”, la rassegna cicloletteraria di incontri, laboratori e mostre, che accompagna il Giro d’Italia. La sua terza edizione s’intitola “Bici chiama Pace” ed è dedicata ai valori pacifici, educativi, ecologici, poetici e umani della bicicletta della quale sostiene la candidatura a Premio Nobel per la pace 2016.
Organizzato da Fernanda Pessolano, artista e bibliotecaria, è un'idea nata dalla Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza e dall’associazione Ti con Zero e prevede lungo il percorso del Giro della “Biblioteche di tappa” laboratori, incontri di lettura e di presentazione di libri. Gli appuntamenti dell'ultima settimana saranno il 24 maggio ad Andalo (Trento), presso la Biblioteca intercomunale; il 25 maggio a Bra (Cuneo), presso il Museo del Giocattolo e la Biblioteca Comunale, dove Marco Pastonesi, giornalista e scrittore, racconterà “Storie, storielle e storiacce” intorno al pedalare; e infine a il 27 maggio, a Torino, presso la Biblioteca civica Don Milani (al mattino) e la Libreria dei Ragazzi (al pomeriggio).
ATAPUMA, O QUALCHE ALTRO DIO
Intanto siamo arrivati alla ultima e terribile terza settimana, quella in cui si decideranno le sorti della corsa. Ancora montagne e salite, in particolare quelle piemontesi di venerdì e sabato, con l'ascesa, venerdì, al Colle dell'Agnello che di mite ha soltanto il nome e lo sconfinamento in terra di Francia. Chissà se l'olandese dal nome di graffio, Kruijswijk, in rosa dopo l'arrivo di Corvara, potrà resistere al ritorno di Nibali, che scollinerà invocando il nume di un quasi omonimo cartaginese che da quelle parti transitò qualche millennio fa a cavallo di elefanti e non di biciclette; o alle scorribande del piccolo colombiano Chaves, forse l'unico ad avere la sfrontatezza di un attacco senza calcoli.
Personalmente sogno il riscatto dell'altro colombiano, Darwin Atapuma, bello di fama e di sventura sulle Dolomiti. Mi sogno una sua personale rivincita su chi lo ha agguantato a pochi chilometri dall'arrivo dopo la sua lunghissima e coraggiosissima fuga. E che sia lui, questa volta a poter sussurrare agli avversari in vista dell'ultimo km, come «Atahualpa, o qualche altro dio, descansate niño, che continuo io».