Cronista di tutto, amante di nulla fuorché la sua pipa, i distillati e le donne, quel genio della penna di Georges Simenon era anche un gran viaggiatore. Del resto da qualche parte doveva pur trovare ispirazione per quel profluvio di romanzi – che siano i gialli di Maigret, o la sterminata opera narrativa poco importa – che ha composto in vita.

Così negli anni Trenta, quando da apprendista cronista della provincia belga era diventato un affermato romanziere (anche se di romanzi popolari, mentre il primo Maigret è del 1931) residente a Parigi, Simenon intraprese lunghi viaggi in giro per il mondo. Forte del suo nome, riusciva a convincere qualche caporedattore amico ad assegnargli un incarico per reportage – molti usciranno per “Voilà”, rivista di Gallimard dedicata al racconto di viaggio – che erano la scusa per andare a curiosare nel mondo e nelle cose. «Decidevo di partire, poi proponevo a un amico caporedattore un certo numero di articoli. Ai giornali chiedevo un compenso fisso, ma non ero il loro inviato speciale. Il reportage era solo un modo per finanziare le mie curiosità» spiega.

Osservatore della vita, penna svelta e brillante, per tutti gli anni Trenta Simenon viaggiò in lungo e in largo per il Mediterraneo, l’Europa sull’orlo dell’abisso, i Tropici non ancora tristi ma gaudenti, e soprattutto saldamente in mano alle potenze coloniali. Tutti viaggi affascinanti che toccano luoghi e sfiorano storie che poi un lettore attento ritroverà nei suoi libri che escono dal triangolo delle nebbie del Nord della Francia, o dagli arrondissement di Parigi, e si aprono alle suggestioni di posti come Batumi, la Polinesia Francese, Panama, il Gabon o il Congo belga.

Luoghi che in prima battuta Simenon racconta nei reportages che in questi anni Adelphi sta raccogliendo in una serie di volumi dalla copertina azzurrina della Piccola Biblioteca, tutti corredati dalle immagini che lo stesso Simenon scattava per accompagnare i pezzi. L’ultimo è A Margine dei Meridiani (Adelphi, pag. 233, 16 €) che racconta il quasi giro del mondo intrapreso nel 1935. Ma negli anni precedenti sono usciti Europa 33 (Adelphi, pag. 378, 18 €), una collezione di testi scritti tra il 1933 e il 1939 partendo dal Belgio e finendo ad attraversare il mar Nero e i porti sovietici, da Odessa a Batumi. E prima ancora Il Mediterraneo in barca (Adelphi , pag 189, 16 €), il meno bello dei tre volumi, perché sembra un po’ un diario buttato lì frettolosamente. Pur non essendo né capolavori di scrittura – per quello basta prendere una pagina qualunque dei suoi romanzi più riusciti per provare a capire come si costruisce una descrizione –, né di acume giornalistico, sono comunque interessanti per entrare nell’universo dello scrittore, per capire da che cosa prendeva ispirazione e che cosa catturava la sua attenzione, oltre alle immancabili avventure galanti a pagamento che non mancano mai.
Leggendoli si capisce che Simenon viaggia e scrive non perché vuole fare il cronista impegnato che racconta il mondo e suoi sussulti, tutt’altro. Simenon viaggia quasi sempre restandosene appartato dalla Storia, preferendo raccontare quel che vede in veloci notazioni che spesso si perdono a raccontare più di sé che dei posti che attraversa. Attento a registrare non quel accade nei palazzi del potere, ma piuttosto quel che vede nelle vie borghesi, nei mercati popolari, ma anche nelle case della povera gente dove riesce a infilarsi con faccia tosta e animo da cronista di nera. Anche se dormiva nei migliori alberghi e viaggiava in prima classe – l’epoca è quella dei fascinosi viaggi in treno o in transatlantico – era curioso di quest’umanità che poi diventerà la protagonista dei suoi libri.
Sempre fedele al suo motto “capire, non giudicare”, in Europa33 si intrufola per andare a vedere come si vive nei villaggi intorno a Vilnius o nei mercati di Odessa, nel reportage che è forse il più interessante di tutti, Popoli che hanno fame, in cui intraprende un viaggio per le terre sovietiche, raccontando anche tutte le peripezie che un inviato doveva sopportare quando si affidava agli emissari del ministero dell’informazione sovietica.
Ma forse quel che più affascina in questi reportage è il Simenon che annusa l’aria dei tropici. E annusandola inizia a pennellare rapide pagine su muffe e decadenza, personaggi incastrati dalla storia e avventurieri smarriti, idealisti naufragati e politicanti corrotti, pagine che poi diventeranno compiute in quei romanzi coloniali, come Turista da banane, Cargo, o Colpo di luna, che hanno tutto il fascino di una pagina umida e densa, come una notte ai tropici.