Non si vive di solo sushi. Neanche in Giappone. E credere che a Tokyo e dintorni si viva di pezzetti di pesce crudo appoggiati delicatamente su parallelepipedi di riso bianco è come pensare che in Italia ci si nutra di pasta e pizza: uno stereotipo.
Eppure la mente (e la pancia) umana funzionano a stereotipi, che mai come nel mondo della cucina sono oggettivamente duri a morire, specie si si tratta di una cucina vista (e provata) dall’estero e non nel Paese in questione. Per cui la moda della cucina giapponese che in questi anni sta spopolando anche in Italia è indubbiamente legata al sushi, come sei i giapponesi andassero avanti a pesce crudo.
Anche se di recente ha preso piede il Ramen (gli spaghetti in brodo di cui avevamo parlato in quest'altro articolo), fino a qualche anno fa era praticamente impossibile sperimentare la cucina “casalinga” giapponese, quella che le mamme preparano a casa o che si mangia nelle trattorie alla buona delle città nipponiche, spesso specializzate in un unico piatto che portano alla perfezione. Anzi, diciamola tutta: già trovare un vero cuoco giapponese nei ristoranti è una mezza impresa, specie fuori dalle città maggiori. Figuriamoci l’equivalente nipponico della nonna che cucina la domenica.
JAPANESE FOOD SUPPORTER
Per ovviare al problema dei cuochi giapponesi che giapponesi non sono (di norma sono cinesi) il Ministero dell’agricoltura giapponese attraverso Jetro (Japan External Trade Organization) ha lanciato una certificazione a sostegno della gastronomia giapponese all’estero: si chiama Japanese Food supporter.
La sua missione è sostenere e promuovere cibi e bevande giapponesi all’estero, perché si rivolge non solo a ristoranti, bar ed enoteche nipponiche ma anche rivenditori dove trovare prodotti originali giapponese per cucinare in casa. Una scelta che asseconda una curiosità tutta nuova, almeno per l’Italia, alle cucine degli altri (sì, non siamo l’unico Paese al mondo dove si mangia bene).
Così da qualche tempo iniziano a spuntare qui e lì locali dove trovare almeno in parte una cucina giapponese diversa, che non si limiti al sushi. È un movimento culinario “originale” che contagia anche la cucina cinese nelle sue mille varianti regionali: per cui oramai (Deo Gratia) non troviamo solo involtini primavera rifrutti e pollo alle mandorle/limone (che in Cina si assaggiano di rado) ma tutto un mondo di piatti regionali, stuzzichini di strada (i panini di Xian per esempio), tofu e ravioli vari che rendono giustizia a un universo culinario.
 DOVE ASSAGGIARE LA CUCINA DI CASA
A Milano a due passi dal Duomo (via Amedei 5, dietro piazza San Alessandro) da un annetto ha aperto la Gastronomia Yamamoto. Un posto piccolo, minimale come un negozio di Muji, dove il menù è scritto all’interno di copie di riviste giapponesi. L’idea è di Aya Yamamoto e sua madre che hanno scelto di allestire un menu con tutti i piatti che i bambini mangiano a casa della nonna. Così a pranzo offrono cose che mai penseresti di mangiare, come il Curry giapponese (Kaa-ree), il sandwich con la cotoletta (il katsu sando), donburi di carne (una scodella di riso e carne) e un zuppa di miso che una volta che l’assaggi inizi a sospettare che quello che hai provato fino ad ora non fosse la stessa zuppa.
Anche altri ristoranti giapponesi si sono specializzati in tutto quello che non è sushi. Per esempio Maido ha portato a Milano gli Okonomiyaki, cibo di strada tipico di Osaka, qualcosa che almeno alla vista sembra tutto l’opposto della grazia delicata cui abbiniamo di solito la cucina nipponica. Si tratta infatti di una frittata con cavolo e farina cui si uniscono verdure, maionese, scaglie di Bonito (un tipo di tonno) e pancetta, oppure formaggio o gamberetti. Da Maido si trovano anche Onigiri (i triangolino di riso che si vedono spesso mangiare nei cartoni animati) e altre sfiziosità. Due gli indirizzi: in via Savona 15 e in via Jacopo dal Verme 16, maido-milano.it).
Sempre a Milano, Sumire (via Varese 1; ristorantesumire.com) è una vera Izakaya, ovvero la trattoria. Certo, cede alle necessità del mercato e prepara anche sushi e sashimi, però sta a voi sperimentare e decidere di provare il kushikatsu (spiedini impanati e fritti), ma anche riso al curry e tonkatsu, la cotoletta che a prima vista diciamo “alla milanese”. Cotoletta che si trova anche da Tenoha (via Vigevano 18, tenoha.it), filiale italiana dell’omonimo Tenoha Daikanyama a Shibuya di Tokyo. Uno spazio che offre una rielaborazione della cucina casalinga giapponese e dello street food: con udon, wagyu (filetto di manzo) e Karaage, pollo fritto croccante.
NON SOLO MILANO
Se a Milano la scelta non manca anche nel resto d’Italia qualcosa si muove anche altrove. Per esempio a Roma c’è Waraku (via Prenestina 321/A) che offre una variazione di Ramen (e quello ormai è di moda) ma anche i gyoza (ravioli), gli okonomiyaki e i takoyaki, polpette fritte tipiche della cucina di strada di Osaka, dove vengono fatte con il polpo.
A Bologna la cucina casalinga si può provare da Yuzuya (via Nicolò dall’Arca 1; yuzuya.it), un locale piccolo che punta a ricreare l’esperienza culinaria quotidiana dei giapponesi, tra cucina di casa e street food, cotolette, pollo fritto, curry, spaghetti di grano saraceno e tofu fritto. A Firenze c’è invece Sol Levante (piazzale Donatello 4), un incrocio inusuale tra gastronomia e ristorante, in cui a cena si possono assaggiare ravioli fatti in casa, hamburger (sì, hamburger) ripieni di verdure, riso con uova e cipolle in una atmosfera casalinga.
UN RICETTARIO CASALINGO
Questo per quel che riguarda il mangiar fuori. Ma ormai si può provare a cucinare giapponese anche in casa, visto che molti ingredienti si trovano nelle decine di negozi di prodotti internazionali presenti ovunque nelle nostre città. Certo, servirebbe un maestro, o una nonna. Ma in mancanza ci si può affidare a un buon libro, come Giappone. Il ricettario, edito da Phaidon e pubblicato in Italia da Ippocampo (pag. 468, 39,90 €).
Il libro è stato scritto da Nancy Singleton Hachisu, un'americana che ha sposato un giapponese e si è trasferita a vivere nell’arcipelago, dopo una ricerca lunga (tre anni) e precisa in cui ha coinvolto chef, anziane signore e addirittura una monaca zen che a fine settimana alterni lavora in un ristorante vegetariano: un modo per dare un quadro esaustivo della cucina “casalinga” giapponese così come si è sviluppata negli anni dell’abbondanza, ovvero tra gli anni Sessanta e Settanta.
La cucina casalinga giapponese – si apprende leggendo il ricettario – si basa su alcuni condimenti che spesso ritornano per insaporire le pietanze. Condimenti che suonano come una filastrocca: sa-shi-su-se-so. Ovvero zucchero, sale, aceto, salsa di soia e miso. Cui si aggiunge il sesamo in tutte le sue forme: olio o tostato. A questi ognuno aggiunge cose varie, alcune alquanto esotiche come “prugne sotto sale”, ma anche alghe di vario tipo e il pesce essiccato che si trovata in tanta parte della cucina orientale.
Un libro prezioso, con un glossario che finalmente mette ordine a termini e prodotti altrimenti astrusi, e quindici capitoli dove apprendere i rudimenti per mettere nei piattini o nelle ciotole antipasti, zuppe, spiedini, spaghetti di ogni genere (dal frumento al grano saraceno, in brodo, saltati, fritti) ma anche piatti unici e dessert. Il tutto con una grafica minimale, come si addice alla nostra idea di Giappone, perché qualche stereotipo comunque va conservato.