La Russia è un grande Paese che resta ignoto ai più. Ignoto perché immenso: di che Russia parli? Di Mosca e San Pietroburgo, ma quelle sono la Russia così come Roma è l’Italia, la parte per il tutto quando si parla di viaggi non è una regola che funziona. Del Nord Caucaso russo o del grande Oriente russo, della Siberia, delle pianure del Don? Troppo difficile farne un unico racconto, troppo arduo raccontare tutti quei fusi orari in poche pagine. Ignoto perché la Russia è ostile, mica facile penetrarla, mica facile viaggiarci davvero, non lo era certo durante i 70 anni dell’epoca sovietica, non lo è ancora oggi, dove sì, fai il visto e arrivi dove voi, ma da qui a capirla davvero ce ne passa. Ed è forse per questo che per partire per la Russia serve una buona scorta di letture.
Certo, si può partire con in tasca un classico, Il Maestro e Margherita di Bulgakov o i Racconti di Pietroburgo di Gogol’ e va bene uguale. Così come andrebbe bene leggere Dovlatov, magari i racconti de La Valigia per rimanere in tema di partenze, o ancora il fantastico e allucinato Mosca-Petuški. Poema ferroviario
di Venedikt Erofeev, che spopolava nella forma illegale del samizdat, i volumi autopubblicati e diffusi in fotocopia ai tempi dell'Urss. O ancora per capire che aria tirava a Mosca dopo il 1991 il bellissimo Limonov di Emmanuel Carrère che è scritto così bene che vale a prescindere, però ci sono alcuni libri che aspirano a raccontare in modo più complesso e complessivo la Russia o almeno una parte di essa. Questi sono solo alcuni di possibili suggerimenti. Ovviamente ci sarebbero anche pietre miliari della letteratura di viaggio come il reportage di Tiziano Terzani scritto all’indomani del crollo dell’Urss, Buonanotte signor Lenin; oppure il viaggio In Siberia raccontato del britannico Colin Thubron. O ancora i dispacci sulla Russia di Putin e sulla guerra in Cecenia (entrambe pubblicati da Adelphi) della giornalista Anna Politkovskaja, ma quando si danno dei consigli bisogna fare delle scelte, magari evitando ciò che è scontato.
I LIBRI PER VIAGGIARE IN RUSSIA
Imperium di Ryszard Kapuscinki, Feltrinelli
Quel che resta dell’Urss è anche il racconto che ne è stato fatto da chi l’ha attraversata quando l’Urss era l’Urss e faceva paura oppure era un’ideale cui tendere. In quei tempi viaggiare per le terre sovietiche non era né facile né scontato, ma per chi apparteneva ai Paesi satelliti, o quanto meno fratelli era relativamente meno difficile. Il reporter polacco Ryszard Kapuscinki ha viaggiato a più riprese nei Paesi dell’Unione Sovietica, da Brest sul confine occidentale all'estremo lembo del territorio russo affiacciato sul Pacifico. Lo ha fatto da solo, fuori dai viaggi ufficiali e lontano il più possibile dalla sorveglianza, incontrando come era solito fare soprattutto le persone che in quel Paese vivevano, raccogliendone impressioni, collezionando frammenti di discorsi, elaborando pensieri e riflessioni su che cosa volesse dire essere un uomo sovietico e come i luoghi soggetti al dominio di Mosca stessero irrimedibilmente cambiando. Un libro polifonico e frammentario, .
Tempo di seconda mano di Svetlana Aleksievič, Bompiani
A veder la mole di questo libro di testimonianze sulle prime si rimane interdetti, quasi spaventati: oltre 700 pagine di racconti di uomini e donne che parlano del loro rapporto con l’Urss, avrà senso leggerlo? Ha senso, eccome, perché è un libro immenso costruito con le interviste che il premio Nobel per la Letteratura Svetlana Aleksievič ha raccolto in anni e anni seduta nel tinello delle case di tutta l’ex Unione Sovietica. Con quaderno degli appunti e registatore, stando con pazienza a sentire chi al sogno sovietico aveva creduto e chi invece l’aveva mal sopportato. Ne è venuta fuori una fondamentale enciclopedia dei sogni svaniti, delle promesse non mantenute e delle speranze vane. Un libro fondamentale per capire le mille sfaccettature di quell'esperiemento colassale che era la creazione dell'homo sovieticus.
La Grande Russia portatile di Paolo Nori, Salani
Di Paolo Nori ogni volta che lo leggi colpisce la voce, nel senso che quando lo leggi se per caso non sapessi che quel libro lo ha scritto lui alla terza riga ti viene da pensare «questo deve averlo scritto Paolo Nori». Perché ha un modo di scrivere che il suo modo di parlare e ti sembra che sia seduto lì accanto a raccontare quando grande è la Russia e quanto ancor più grande è la cultura russa che si esprime attraverso i suoi scrittori. Scrittori che in Russia almeno fino a qualche anno fa godevano di una fama impensabile per uno scrittore italiano, scrittori di un paio di secoli fa che tutti citano come certi versi delle canzoni di Battisti, perché Gogol' e Dovstojeski per i russi di tutte le estrazioni sociali sono a loro modo pop. Così ne la Grande Russia portatile lo scrittore emiliano, anzi parmense, racconta del suo rapporto con la Russia, con la grande letteratura e con questi ultimi «trent’anni che hanno ribaltato il più grande paese del mondo che, miracolosamente, è rimasto il posto stupefacente che era la prima volta che ci sono andato, nel 1991».
Bagliori a San Pietroburgo di Jan Brokken, Iperborea
Lo scrittore olandese Jan Brokken è il tipo di persona che non ti dispiacerebbe incontrare quando fai un viaggio. Una di quelle con cui sedersi a un tavolo, ordinare qualcosa da bere che sia forte e duri a lungo e poi mettersi comodi a sentirlo mentre racconta storie ed aneddoti. Storie ed aneddoti come quelle di cui è ricco Bagliori a San Pietroburgo, che meglio di una guida introduce alla vecchia Leningrado, ai suoi personaggi e ai suoi angoli. Una guida colta e letteraria, dove si respira più il ricordo della poetessa Anna Achmatova o di Gogol’ che l’aria della San Pietroburgo di oggi o di ieri. Un libro per chi è interessato alla cultura russa, alla sua musica e ai suoi intellettuali.
Il futuro è storia di Masha Gessen, Sellerio
Sette personaggi per raccontare un Paese immenso come la Russia. Sette personaggi e le loro famiglie, i loro amici, i loro colleghi sono la formula utilizzata dalla giornalista russo/americana per raccontare la Russia all’epoca di Putin. Ovvero il racconto di prima mano di una democrazia che non è mai veramente nata, di un Paese che vive ancora nel suo sogno imperiale e di potenza e che forse non ha fatto abbastanza bene i conti con il suo passato sovietico. Sette personaggi nati quando ancora c’era l’Urss ma divenuti giovani e poi adulti quando invece c’era (e c’è ancora) Vladimir Putin. Personaggi che provengono da realtà e famiglie diverse, personaggi ordinari ma anche fuori dal comune, in grado di raccontare efficacemente sia le proprie vicende personali ma anche di divenire lo specchio di un Paese che evolve dalla mancanza di libertà dell’Urss totalitaria alla mancanza di libertà della finta democrazia putiniana. Un libro corposo, non facile, ma denso come un soggiorno lungo decenni dalle parti di Mosca.
Diario Russo di  John Steinbeck, Bompiani
Il bello di leggere un diario di viaggio datato come questo (è del 1947) è che lo puoi prendere come un documento storico. Un documento storico scritto bene. Certo, servirà poco, pochissimo per un viaggio nella Russia di oggi – perché dal momento del trionfo apparente del socialismo reale è tutto, tutto cambiato –, ma si rivelerà una gran bella lettura per il semplice fatto che a scriverlo non è uno qualunque, ma John Steinbeck, uno che con la macchina da scrivere ci sapeva davvero fare. Uno che quando è andato in Russia si è accompagnato con Robert Capa e tutti e due sono partiti con la stessa idea in mente: raccontare la vita privata dei russi sotto Stalin, perché doveva pur esserci una vita quotidiana che andasse aldilà dei proclami di partito.
Pianeta Caucaso di Wojciech Gòrecki, Bruno Mondadori
In Caucaso è un mondo a sé, anzi un pianeta. Chiuso tra il mar Nero e il mar Caspio, stretto tra la pianura del Don e il mondo turco-persiano a Sud, il Caucaso è terra di alte montagne, valli impervie e popoli che si raccontano bellicosi. Georgiani, armeni, ceceni, circassi, calmucchi, osseti, una ingarbugliata scacchiera di lingue e popoli che nell’ultimo secolo è stata sottoposta (e ancora lo è) al giogo di Mosca. Così che sulla multicolore tavolozza caucasica dominano il rosso del sangue e il verde delle tute mimetiche. Guerra in Ossezia e Abkahzia, invasione della Georgia, conflitto per il Nagorno-Karabakh tra Armenia e Azerbaijan, e poi quel buco nero rappresentato dalla Cecenia. Un ottimo reporter della scuola polacca racconta la semplice vita quotidiana della gente in una terra tutt’altro che semplice.
I diari della Kolyma. Viaggio ai confini della Russia di Jacek Hugo Bader, Keller editore
Auschwitz, Guantanamo, Choeung Ek in Cambogia, la Kolyma in Russia: è lungo il rosario dei luoghi il cui nome è abbinato all’orrore del Novecento. Solo che si tratta di luoghi dall’estensione limitata: un campo, dei palazzi, qualche ettaro di terra recintata, mentre la Kolyma – nell’estremo oriente russo – è un’intera regione grande otto volte l’Italia. Questa terra per decenni è stata un arcipelago separato dal resto dell’Unione Sovietica. Qui si trovavano i peggiori Gulag: erano 160 e potevano concentrare 200mila prigionieri nello stesso periodo, quei gulag di cui parla Varlam Tichonovič Šalamov ne I racconti di Kolyma. Jacek Hugo-Bader, reporter polacco esperto di Russia, ha percorso l’unica strada lunga 2.025 chilometri che l’attraversa. L’ha fatto in autostop, in 36 giorni, mentre arrivava l’autunno che a quelle latitudini è già un gelido inverno. Il suo racconto, I diari della Kolyma è un viaggio ai confini della Russia profonda, dentro la sua storia più oscura, dentro il suo presente più assurdo. Un viaggio fatto di incontri di anime in pena, la pena di vivere in un posto dannato dalla storia e dalla geografia.
Niente è vero, tutto è possibile, di Peter Pomerantsev, Minimum Fax
«Io a questo punto non sono neanche tanto sicuro di chi abbia vinto la guerra fredda». È questa la riflessione che a un certo punto viene in mente a Peter Pomerantsev, documentarista russo-inglese, che in Niente è vero, tutto è possibile racconta in modo assai piacevole della surreale, spesso assurda Mosca del boom di questi ultimi anni. «Una città in un perenne fast-forward» dominata da una oligarchia che si è arricchita velocemente dopo il crollo dell’Unione Sovieta e adesso spadroneggia in una città che sembra un far west piuttosto kitsch. Il racconto di un Paese che la mattina può sembrare una oligarchia, il pomeriggio una democrazia, una monarchia a ora di sera e uno stato totalitario quando è ora di andare a letto». Un Paese che sta sperimentando una sua via alla modernità, sovvertendo certe regole che davamo per acquisite; un Paese dove i gangster diventano artisti, i cercatori d’oro citano Puskin e i peggiori mascalzoni si dipingono come santi. 

Vladivostok di Cédric Gras, Voland
Vladivostok è una città fantasma, un luogo dove i turisti vengono a cercare il pittoresco tipico di ogni finis terrea e invece ci trovano un porto che non si spinge verso il largo e un lembo di terra senza nessun confine, un luogo che è Europa ma anche profondamente Asia, capolinea obbligato di un mare di sogni di carta. Una luogo che il geografo francese Cédric Gras racconta assai bene, senza abbellire nulla, senza esagerare, limitandosi a parlare dei suoi anni all’estremo Est di un Paese, la Russia, che gli confaceva così come ad alcuni si confà l’America o l’Africa. Un Paese a tratti sconcertante dove gli abitanti hanno un modo tutto loro di pensare e non si sforzano di farlo capire ai vicini né tantomeno di capire i vicini, convinti della propria storica, imperiale superiorità. E di quel Paese di donne imbronciate che pronunciano parole dolci, di uomini rudi con l’aria da orsi brilli Gras racconta magistralmente una città estrema, Vladivostok, che prima che essere in Asia, sta in Russia.
ALTRI DUE LIBRI NON DI VIAGGIO...
Nelle foreste siberiane, di Sylvain Tesson, Sellerio
C’è silenzio sulle coste del lago Baikal in inverno. C’è silenzio anche in primavera, in autunno e pure in estate. C’è sempre silenzio, perché qui, nel cuore della Siberia non ci vive praticamente nessuno. Gli unici rumori sono quelli della natura, degli animali che la popolano, della neve che si scioglie, del ghiaccio che crepita. Oppure sono i rumori silenziosi dei pensieri che si affollano nella testa dello scrittore francese Sylvain Tesson, uno che dimostra ogni volta di saper raccontare i luoghi e anche se stesso come pochi altri sanno fare. Così anche in questo libro che racconta del suo eremitaggio sulle coste del lago Baikal chiuso in una capanna con una scotta di salsa Heinz e di libri, in fuga dal mondo occidentale e in cerca dell’anima russa e della sua anima. Non propriamente un libro di viaggio, ma di certo da portare in viaggio, specie se si prende un treno e si decide di attraversare la Russia.
Quando c’era l’Urss di Paolo Piretto, Raffaello Cortina Editore
La notte di Natale del 1991 venne ammainata la bandiera rossa sul Cremlino. Per settant’anni vederla sventolare aveva rappresentato una certezza: o la si odiava come simbolo di una oppressione colossale, o a si amava, come icona di un mondo possibile e diverso. Un mondo che passava attraverso piani quinquiennali e purghe di massa, mire espansionistiche per estendere al mondo intere le conquiste dei lavoratori e concrete conquiste spaziali. Un mondo che spesso veniva visto attraverso la sua rappresentazione nelle immagini di propaganda, artistiche o presunte tali. In questo volume monumentale lo storico Paolo Piretto ha scandagliato tutte le forme delle produzione culturale negli anni dell’Urss: dal cinema alla letteratura, dai manifesti politici alla pubblicità, delle cartoline alle parate militari, fino all’iconografia di Lenin e Stalin, ovvero ogni aspetto visivo che contribuisca a costruire la complessiva storia culturale dell’Urss.