Dove e come faremo le vacanze la prossima estate? Addio alle notti in discoteca di Ibiza, alle spiagge delle isole greche e ai viaggi on the road negli Usa? Difficile dirlo. Un vero rompicapo che l’Unione Europea vorrebbe cercare di risolvere, come ha dichiarato (ignorata dai media italiani) la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, fin dallo scorso aprile in una serie di interviste ai maggiori quotidiani europei. «Penso che sarà possibile trovare delle soluzioni intelligenti perché tutti i cittadini Ue possano fare le vacanze che desiderano».
La realtà è meno entusiasmante. Prima di tutto dal punto di vista economico: già il solo fatto – dato per scontato – che la Ue terrà chiuse le sue frontiere esterne comporta la rinuncia la 18 per cento degli introiti turistici complessivi. Contrazione che raggiungerebbe quota 38 per cento, in media, se dovessero restare bloccate pure le frontiere interne tra i diversi Paesi. Un’ipotesi tutt’altro che remota: l’Italia, al momento (e senza essersi data una scadenza), impone 14 giorni di quarantena a chi ne varchi in ingresso i confini. Stessa prassi per la Spagna. Francia e Regno Unito hanno rinunciato a imporre la quarantena da pochi giorni, mentre Slovacchia e Ungheria proseguono a oltranza. E gli Stati Uniti di Trump restano un enigma.
Quanto alle misure appena proposte a Bruxelles, sulla carta sarebbero perfette: sito web gestito dall’Ecdc (Centro europeo per la prevenzione e controllo delle malattie) a uso dei turisti con informazioni su situazione alle frontiere e andamento dei contagi, app per gli smartphone valide per tutti i Paesi Ue, riapertura dei confini tra aree a rischio epidemiologico simile sotto la regia dell’Ecdc, adozione di filtri di tipo ospedaliero per i sistemi di climatizzazione, tavoli e ombrelloni distanziati di almeno due metri.

FRONTIERE APERTE? IL RISCHIO È CHE RESTINO UN MIRAGGIO
L’obiettivo di riaprire i confini al turismo da metà giugno, facendo applicare queste linee guida, segue la traccia dell’intervento della Commissione Europea che ha mantenuto attivi in questi mesi i canali della logistica internazionale. Ma c’è chi preme l’acceleratore sulle derive sovraniste. Dato per scontato l’atteggiamento del governo Orban in Ungheria, anche il primo ministro austriaco Kurz ci ha messo del suo, dichiarando che “si possono aprire i confini dell’Austria solo verso i Paesi che stanno combattendo con successo la pandemia come Germania e Cechia». Un indiretto attacco all’Italia, che potrebbe essere ulteriormente penalizzata dai “corridoi sanitari” ipotizzati da Grecia, Slovenia e Croazia per intercettare i flussi turistici in arrivo dall’Europa centro-settentrionale. Soluzione che trova peraltro orientata al no la Ue.
Sull’altro versante, c’è già chi si chiede prima di tutto come costruire la mappa europea del contagio che l’Ecdc sarà chiamata a gestire: l’estensione delle regioni italiane, giusto per fare un esempio, poco ha a che fare con quelle delle omologhe francesi. E poi? In un momento in cui il rischio della seconda ondata è alle porte, il coordinamento dell’Ecdc nel decidere apertura e chiusura delle frontiere non rischia di allungare tempi operativi che invece devono essere molto brevi? Come reagiranno governi ed enti locali che, un po’ in tutta Europa, in questi mesi hanno già dato prova di convivere a denti stretti, alle disposizioni – di grande impatto economico in caso di semaforo rosso – di un ente sanitario sovranazionale?

NORME UGUALI PER TUTTI. FORSE
Il nodo chiave resta poi quello delle norme di sicurezza e distanziamento. La soluzione ideale, ventilata da Bruxelles, è quella di regole uguali per tutti i Paesi “modulate” dalla cabina di regia comunitaria dell’Ecdc per tenere conto dell’evolversi della pandemia e del rischio contagio nelle diverse aree.
Il rischio è che, in mancanza di norme imperative, ogni Paese interpreti le linee guida Ue come suggerimenti, cercando di salvare una stagione turistica ormai compromessa attraverso un mosaico di accordi bilaterali tra i Paesi. I più avventurosi ipotizzano addirittura un accordo “a quattro” tra i grandi protagonisti del turismo europeo: Italia, Francia, Spagna e Germania.
Un esempio? La questione del distanziamento sui voli. Sulla quale Bruxelles non entra nei dettagli di quanti centimetri o posti vuoti, parlando solo di un filtraggio “ospedaliero” per il condizionamento a bordo. Un assist implicito per la Grecia, che ha dichiarato di non voler imporre il distanziamento sui voli in arrivo, e per il guru di Ryanair, O’ Leary, che da più di un mese dichiara ai quattro venti di non voler “far volare i miei aerei con i sedili vuoti”. Proprio ieri Ryanair ha annunciato il restart dal 1° luglio, mentre molte altre compagnie parlano del 10 giugno, precisando sibillinamente “qualora le restrizioni sui voli all’interno dell’UE vengano revocate e vengano poste in essere efficaci misure sanitarie negli aeroporti”. E in tutto il comunicato di Ryanair non c’è una parola sul distanziamento a bordo dei passeggeri: si parla solo di mascherine e controlli sull’equipaggio.
Tenuto presente che gestione delle frontiere e sanità sono e restano settori di esclusiva competenza degli Stati membri, quanto prima la commissione Ue renderà pubblici protocolli di sicurezza per il mondo dell’ospitalità (alberghi, ristoranti, bar e campeggi). Il fattore decisivo, all’alba di metà maggio, sono i tempi, come dimostra nel nostro Paese il moltiplicarsi delle richieste delle associazioni di categoria al governo: «dateci delle regole, qualunque esse siano. Non possiamo aspettare ancora».
Unica buona notizia, per chi ha nel cassetto un viaggio o una vacanza già annullati, l’invito della Commissione Europea a rimborsare chi non è partito: la prassi del voucher di pari valore del servizio non prestato, infatti, secondo la Ue è legittima ma solo se l’adesione del cliente avviene volontariamente. Tant’è che sta per aprirsi una procedura di infrazione nei confronti dei Paesi che consentono alle compagnie aeree e alle agenzie di viaggio di evitare il rimborso con la semplice emissione del voucher.