In un Paese che oramai passa le giornate con il naso in su a chiedersi se pioverà o non pioverà con la stessa angoscia con cui nelle zone di guerra ci si chiede se oggi cadranno altre granate o meno, è necessario provare ad affrontare le cose con una logica diversa. Una logica che non sia quella della pura emergenza cui siamo abituati da tempo immemore. Ma piuttosto sia quella della prevenzione e soprattutto del buonsenso. Perché passata l'ennesima conta dei danni, placate le polemiche, deciso che bisogna spendere di più e meglio, occorre anche fermarsi e provare a riflettere sulla cause ultime di quel che sta succedendo in queste settimane. Cause che non sono certo l'eccessiva pioggia dovuta al cambiamento climatico come qualcuno ama sostenere. Ma sono piuttosto da rintracciarsi in anni e anni di politica speculativa che ha trattato il territorio italiano come un bancomat da cui prelevare denaro sotto forma di oneri di urbanizzazione o mazzetta da costruttori di seconde case inutuli come un frigorifero in Groenlandia.
 
Un territorio che è stato violentato, costruito, cementificato in aree a elevato rischio di dissesto idrogeologico e di grande pregio paesaggistico. Per rendersi conto di cosa voglia dire in termini pratici basta fare due passi in Liguria. E allora, cosa possiamo fare? Abbattere tutto sarebbe una soluzione, ma forse non è praticabile. Una possibilità sarebbe smettere di consumare il suolo, ultima risorsa che ci rimane per combattere esondazioni e frane. Governare con sesso e lungimiranza il nostro bellissimo e fragile territorio. Impossibile? No. Qualcuno ci sta provando. Come? Promuovendo dei piani regolatori a consumo di suolo zero come quello adottato per primo dal Comune di Cassinetta, in provincia di Milano. Un'esperienza che raccontavamo mesi e mesi fa nell'inchiesta uscita sul primo numero di Touring, nell'aprile 2012. La ripubblichiamo, perché le soluzioni di buon senso non hanno tempo.
 
 
############ CROSTA D'ASFALTO di Tino Mantarro  ############
La cementificazione selvaggia aggredisce il nostro paesaggio: in 15 anni ci siamo mangiati la superficie di Lazio e Abruzzo. Ma il vento sta cambiando grazie anche ad alcuni sindaci intraprendenti
 
Non c’era bisogno di Celentano per sapere che là dove c’era l’erba oggi c’è una città. Bastava guardare fuori dalla finestra. O leggere le statistiche. Secondo l’Istat dal 1990 al 2005 in Italia sono stati consumati 3 milioni 663mila ettari di superficie agricola: è come se ci fossimo mangiati dei campi grandi quanto Lazio e Abruzzo. Nella sola Liguria i terreni agricoli sono diminuiti del 45,5% in quindici anni. Secondo il dossier L’anno del cemento realizzato nel 2009 dal Wwf, dal 1956 a oggi nel nostro Paese la superficie urbanizzata sarebbe aumentata del 500%. Con un consumo quotidiano di suolo che oscilla tra i 75 e i 140 ettari al giorno. In Lombardia, capofila di tutte le classifiche grigie, ogni giorno si ricopre di cemento una superficie pari a sette volte piazza Duomo: 117mila metri quadrati. Non certo una novità di questi anni.

LA SPECULAZIONE DI CALVINO

Nel 1957 Italo Calvino pubblicava sulla rivista Botteghe Oscure “La speculazione edilizia”: un lungo racconto che ha come protagonista Quinto, intellettuale che si costringe a diventare un’affarista del mattone in Riviera. “La speculazione di Calvino era in parte diversa da quella di oggi” spiega Paolo Pileri, docente del Politecnico di Milano e membro del Centro studi sui consumi di suolo. “In quegli anni c’era davvero bisogno di dare una casa agli italiani. Erano gli anni della grande migrazione interna: si costruiva tanto e senza legge”. Anni di abusivismi selvaggi sanati, a partire dal 1984, con tre condoni edilizi in trent’anni. “Oggi invece il suolo è diventato un mezzo finanziario: costruisco perchè voglio capitalizzare e mi serve una rendita, anche solo presunta, per chiedere altri soldi alle banche per costruire ulteriori cubature che garantiranno i mutui contratti per costruire” prosegue Pileri. Un circolo vizioso, una sprirale apparentemente senza fine.

“Se prima la rendita immobiliare, che pure era commisurata a fabbisogni reali, veniva contrastata anche dall’agire pubblico, oggi è diventata il motore stesso dello sviluppo, così si finisce per costruisce indipendentemente dall’utilità” aggiunge Edoardo Salsano, architetto e anima del sito eddyburg.it. Ma nel corso di questi decenni è cambiato anche il modo di costruire. “Assistiamo a un fenomeno di suburbanizzazione, la città è diventata diffusa: sono nati quartieri a bassa intensità abitativa che saturano ogni spazio libero. Siamo all’apoteosi di quella che Cederna chiamava la crosta di cemento e asfalto” racconta Salsano. Capannoni, svincoli, villette con giardino che grattano all’agricoltura e alla natura i residui terreni liberi. “È la nuova desolante forma del paesaggio italiano” scrive Settis in Paesaggio, costituzione, cemento. “Stiamo tradendo il nostro modello urbanistico storico” rincara Salsano. Compromettendo un paesaggio identitario, ma anche una risorsa ambientale. E i rischi non sono solo paesaggisti. “Il suolo è una risorsa multifunzionale” spiega Paolo Pileri. “Produce cibo, trattiene anidride carbonica, regola la temperatura ed è fonte di biodiversità. Servizi ecologici non monetizzabili ma fondamentali per il futuro”. Non solo.


CONSUMO DI SUOLO ZERO A CASSINETTA
“Continuare a impermeabillizzarlo con colate di cemento e asfalto ha come conseguenza diretta le alluvioni e le frane di questi anni. Un costo di oltre tre miliardi l’anno”. E allora, tutto è perduto? Non ancora. “Anche se bisogna tener conto che i consumi di suolo sono irreversibili e il territorio non è infinito” chiosa Pileri. Una speranza arriva da Cassinetta di Lugagnano, comune di 1.800 abitanti in provincia di Milano all’interno del parco del Ticino. Nel 2007 l'allora sindaco Domenico Finiguerra, primo in Italia, ha adottato un piano regolare a crescita zero. “Si tratta di un Pgt che non contiene previsioni di crescita dell’insediamento, ma traccia una linea rossa intorno all’abitato. Un piano che non invade le aree destinate all’agricoltura, ma riqualifica le zone industriali e gli immobili esistenti” spiega Finiguerra. “Niente di rivoluzionario” tiene a sottolineare. “In Germania è una prassi normale. Fin dal 1988 la legge Merkel definisce obiettivi imperativi di riduzione dei consumi di suolo”. L’autoimposto diktat tedesco è passare da 130 a 30 ettari al giorno entro il 2020, fino ad arrivare alla crescita zero entro il 2050.

“E invece in Italia ci fanno passare per estremisti. Ma non siamo ambientalisti radicali: noi il cemento lo usiamo, non vogliamo tornare all’epoca della candela. Però vogliamo un’edilizia diversa, che non consumi suolo”. L’intrepida Cassinetta ha fatto scuola: l’esempio è stato seguito da altri piccoli Comuni del milanese (Solza, Pregnana Milanese, Ozzero e Ronco Briantino) e i principi ispiratori sono stati fatti propri anche dalla Provincia di Torino. Per farlo gli amministratori rinunciano ai cospicui introiti di urbanizzazione. Dal 2001 infatti una legge del governo Amato autorizza i Comuni a utilizzare il 50% dei soldi che i costruttori versano per contribuire alle spese di urbanizzazione delle nuove case per coprire le spese correnti, ovvero servizi ai cittadini, stipendi e bollette. “E con il Milleproroghe del 2009 la quota è salita fino al 75%. Siamo nella sciagurata situazione per cui i Comuni per far cassa e star dentro i limiti del Patto di stabilità svendono il proprio territorio”, aggiunge Pileri. “Anche per noi gli oneri sarebbero fondamentali per pareggiare il bilancio. Però ci siamo organizzati tagliando il superfluo, usando la fantasia e ispirandoci alle buone pratiche di altri Comuni” aggiunge Finiguerra. La situazione è paradossale: i Comuni virtuosi attenti al futuro del territorio sono a corto di fondi; quelli che lo devastano ricevono denari pubblici per contribuire alla devastazione.

 
NUOVE LOGICHE NECESSARIE
Occorre invertire la logica e in questo senso le proposte sono diverse. “Il primo passo è abolire la legge sciagurata che permette ai Comuni di finanziare le spese con gli oneri di urbanizzazione, altrimenti il circolo vizioso non si interromperà” tuona Pilieri. “Poi dovremmo concentrarsi sul riuso - sostiene Salsano -. Iniziamo a censire l’esistente, dalle aree dismesse agli immobili sfitti, poi eleboriamo un piano di riutilizzazione per dare una casa a tutti senza sottrarre altra terra al ciclo della natura”. Per farlo occorre avviare una decisa rivoluzione culturale nella percezione del suolo. “Per questo abbiamo fondato il forum Salviamo il paesaggio” racconta Finiguerra. “Primo obiettivo: la raccolta di firme per promuovere una legge di iniziativa popolare che definisca il suolo un bene pubblico”. Calvino descriveva gli anni della speculazione edilizia “un’epoca di bassa marea morale”, che l’acqua stia cominciando a risalire?