Qual è lo stato di salute delle spiagge italiane? A farne una fotografia, nitida e realistica quanto serve, è Legambiente, che ha appena pubblicato il “Rapporto Spiagge 2019” concentrandosi sulla situazione e i tanti cambiamenti in corso sulle nostre coste.
Il tema è ovviamente importante di suo, ma la coincidenza della pubblicazione del rapporto con l’inizio del periodo di maggior affollamento sui litorali ne fa quasi un monito a dedicare qualche minuto di vacanza a riflettere se la spiaggia dove stiamo riposando o giocando con amici, compagni e figli sia pulita, sostenibile per l’ambiente, e se il prezzo che stiamo pagando per un ombrellone e una sdraio giustifichi il fatto che chi non vuole o non può pagare quel prezzo sia costretto a un angolino ai margini della spiaggia, che è un bene comune e inalienabile.
Un lido a Positano / Getty Images 
SPIAGGIA LIBERA, UN MIRAGGIO IN UN MARE DI STABILIMENTI?
Affrontare una lettura così è un colpo al morale, prima che all’etica ambientale. Siamo un Paese in cui oltre il 50% delle aree costiere sabbiose è di fatto sottratto alla libera e gratuita fruizione. I dati sono molto diversi tra Nord e Sud, ma aumentano ovunque le spiagge in concessione e laddove non avviene è perché semplicemente non ci sono più spiagge libere, come in Versilia, Romagna, in alcuni tratti della Liguria. In Sicilia, dove la percentuale di spiagge in concessione è molto più bassa, negli scorsi mesi sono state presentate 600 richieste di nuovi stabilimenti.
Tradotto in cifre che arrivano dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sono 52.619 le concessioni demaniali marittime, di cui 11.104 sono per stabilimenti balneari, 1.231 per campeggi, circoli sportivi e complessi turistici. I dati di alcune Regioni risultano incredibili, anche perché sono un dato medio. In Liguria ed Emilia-Romagna quasi il 70% delle spiagge è occupato da stabilimenti balneari, in Campania è il 67,7%, nelle Marche il 61,8%. Il numero delle concessioni cresce praticamente ovunque, e il problema è che nessuno controlla questi processi.
A lasciare interdetti è che siamo di fatto l’unico Paese europeo che non pone un limite alle spiagge in concessione, lasciando alle Regioni queste scelte. Ma ditelo ai bagnanti di Forte dei Marmi, Rimini, Alassio, San Benedetto del Tronto, Mondello, dove l’alternativa all’ombrellone a pagamento è una chimera; e fatelo sapere ai cittadini di Ostia e a quelli di Pozzuoli dove è quasi impossibile accedere al mare e persino vederlo, coperto com’è da muri e barriere. Poi ci sono dei parcheggi salentini al posto delle dune, o città come Brindisi e Augusta, che dal dopoguerra hanno dovuto cedere il loro mare alle basi militari italiane e Usa e all’invasione della chimica, per quanto utile sia stata quell’industria in termini di impiego di forza lavoro.
Comunicare e prendere coscienza di questa situazione è allora quasi un dovere. La legge (nel codice civile) dice che l’accesso al mare e le spiagge sono demanio pubblico inalienabile e che non possono essere oggetto di diritto di terzi se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano. Le regole sono oggi in capo alle Regioni, che sovente latitano o si dimenticano di sanzionare.
 
Le dune di Piscinas, nell'Iglesiente sardo / Getty Images
IL BOOM DEGLI BAGNI GREEN ED ECOSOSTENIBILI
Ad addolcire un po’ la pillola è una tendenza che sembra stia sbarcando anche nel Bel Paese: ecosostenibilità. Il rapporto di Legambiente registra infatti un vero e proprio boom degli stabilimenti che puntano su un’offerta green. Dal Cilento al Salento, da Ravenna a Viareggio, passando per il Parco di Migliarino San Rossore per arrivare all’area protetta di Torre del Cerrano, le scelte degli stabilimenti stanno virando su scelte ad “impatto zero”.
Sono per esempio tantissimi gli stabilimenti che hanno scelto di diventare “plastic free” e di puntare sulle rinnovabili, di salvaguardare le dune e recuperare specie autoctone, di valorizzare prodotti a chilometro zero di utilizzare solo legno e materiali naturali per le strutture, di eliminare ogni barriera per l'accesso, di premiare e aiutare con spazi ad hoc chi si muove in bici o con mezzi di mobilità elettrica e molto altro ancora.
In molte realtà una collaborazione tra Comuni e balneari ha portato ad una offerta di qualità con strutture "leggere" che consentono di vedere il mare senza barriere e di far convivere parti in concessione e libere, come avviene con grande successo da diversi anni a San Vito Lo Capo ma anche ad Ostia, sulla spiaggia di Capocotta (nonostante evidenti problemi di traffico e accessibilità). Ed è importante sottolineare che questa scelta è premiata dai clienti, italiani e stranieri, che oggi scelgono proprio questo tipo di offerta di qualità e attenta all’impatto sull’ambiente.
Il parco di Migliarino, a San Rossore (Pi) 
 
IL BUSINESS DELLE CONCESSIONI, MA TRA I DUE LITIGANTI…
In Italia viviamo una diatriba assai sterile che dura dal 2006, anno di pubblicazione della Direttiva europea “Bolkenstein” che prevede l’assegnazione delle concessioni tramite gara. I proprietari dei bagni chiedono una proroga delle concessioni senza gara, rigettando la direttiva Ue che in ogni caso va applicata. In questo stallo pochi guadagnano tanto e quasi tutti ci perdiamo.
Esistono e permangono poi situazioni in cui si paga un canone demaniale bassissimo a fronte di business enormi. Legambiente rende noto che a Santa Margherita Ligure, il Lido Punta Pedale versa 7.500 euro all'anno, l'hotel Regina Elena 6.000. Il Metropole versa 3.614 euro, il Continental 1.989. A Pietrasanta il Twiga di Briatore occupa 4.485 metri quadri, pagandoci un canone di 16 mila euro all'anno. A Forte dei Marmi il Bagno Felice paga 6.560 euro per 4.860 metri quadri.  Lo Stato, nel 2016, ha incassato poco più di 103 milioni di euro dalle concessioni a fronte di un business stimato da Nomisma in circa 15 miliardi di euro annui.
Il Twiga di Pietrasanta, anche 1000 euro al giorno / foto Twiga Beach Club
LE SPIAGGE IN FRANCIA, SPAGNA, CROAZIA E GRECIA
Ad oggi qualcuno chiede la sdemanializzazione totale delle aree occupate dagli stabilimenti, ma per fare chiarezza troviamo interessante il confronto che Legambiente fa con gli altri Paesi europei, dove sono state trovate soluzioni di buon senso per premiare le imprese locali che scommettono sulla qualità e al contempo garantire che una parte maggioritaria delle spiagge sia garantito per la libera fruizione.
In Francia la concessione massima è di 12 anni, 80% del litorale deve rimanere libero. I Comuni sono obbligati a informare la collettività di qualunque progetto e su qualunque nuovo soggetto che intenderà gestire le spiagge. In Spagna la proroga delle concessioni esistenti è soggetta a un rapporto ambientale che indichi gli effetti dell'occupazione sull'ambiente. In Croazia le concessioni sono sempre assegnate tramite bando di gara. Concessioni massime di 5 anni per attività quali lapertura di ristoranti e negozi (chioschi, edifici a terrazzo, etc.) e l'avvio di attività commerciali e ricreative. In Grecia, infine, la durata delle concessioni è variabile ma sono rilasciate solo tramite bandi.
Saintes Marie de la Mer, nel sud della Francia / Getty Images
UN DIALOGO PER UNA NUOVA LEGGE SULLE AREE COSTIERE
Con l'ultima Legge di Bilancio il Governo ha approvato una proroga delle concessioni fino al 2034. Ma il dibattito secondo Legambiente non è più rimandabile. Gli attori in campo sono molti, forse troppi: Ambiente, Beni Culturali Infrastrutture, il Demanio e le Regioni, i Comuni e il sistema delle aree protette, le organizzazioni dei balneari e le associazioni ambientaliste. Ma l’obiettivo dovrebbe essere uno solo: definire delle nuove regole e delle politiche per rilanciare il ruolo delle aree costiere nel nostro Paese e di fissare le sfide per il futuro, ovvero arrivare a una nuova legge nazionale in materia di aree costiere, e magari applicarla, aggiungiamo.
 
La Goletta Verde / foto Legambiente