Imparare è una bella parola, piena, rotonda, importante. Nella vita si imparano la grammatica e la fisica, il disegno e le lingue straniere, si imparano le buone maniere, le poesie a memoria e a cavarsela da soli. Del resto, lo dice il proverbio, c’è sempre qualcosa da imparare, nella vita non si finisce mai di farlo. Secondo la Treccani il significato profondo di imparare sarebbe «acquistare cognizione di qualche cosa, o fare propria una serie di cognizioni (relative a un’arte, a una scienza, a un’attività, ecc.), per mezzo dello studio, dell’esercizio, dell’osservazione, della pratica, attraverso l’esempio altrui». Ecco, a Pecciolicomune Bandiera Arancione della provincia di Pisa – per i nove giorni del primo Peccioli Working Village non si è mai smesso di imparare. Soprattutto attraverso l’osservazione e l’esempio altrui.
Hanno imparato qualcosa i sette “villagers”, i residenti temporanei selezionati per prendere parte alla prima edizione di questo progetto innovativo del Touring Club Italiano, di Belvedere Spa e del Comune di Peccioli, realizzato con il supporto di Codici Ricerca e Intervento che ha curato la fase di incontro e scambio tra ospiti e territorio. Hanno imparato qualcosa gli operatori locali che hanno presentato con orgoglio le loro attività ai villagers, chiesto pareri e ricevuto consigli. E ha imparato qualcosa anche chi ha organizzato queste giornate intense e sempre festose.
Per prima cosa i villagers hanno imparato a collocare Peccioli sulla cartina geografica, che non è scontato per un borgo di circa 5mila abitanti pur innovativo e con tante ricchezze. Prima di esser selezionati nessuno dei sette lo aveva mai visitato e invece adesso è diventato un pezzo di cuore. Poi hanno imparato le tante specificità di questo territorio che vorrebbe trovare una sua dimensione turistica all’interno di una regione come la Toscana che sembrerebbe satura e invece riserva ancora tante sorprese. E per tutti è stata una sorpresa scoprire la grande discarica di Peccioli con le sue opere d’arte e il suo teatro, un luogo che – grazie a una visione dinamica e imprenditoriale di quello che altrove poteva essere un immenso problema – è diventato l’occasione per fare di Peccioli un laboratorio di sperimentazioni artistiche ma anche sociali.

 
E l’idea che questa esperienza potesse essere un laboratorio è quella che ha spinto gli esperti a candidarsi al bando. «Mi sembrava che ci fosse la ricerca di qualcosa di innovativo, che non deve essere per forza digitale come va di moda oggi, ma che anzi passa dal contatto e dalla presenza, dal conoscersi e dal prendersi il tempo per farlo in modo da rimettere al centro le persone e le relazioni» spiega Roberto Vitali, esperto di turismo accessibile, che a Peccioli ha portato il suo entusiasmo e la voglia di far capire che «non ci sono vacanze diverse per disabili, ma che ciascuno ha diritto alla sua vacanza: è il territorio che deve farsi trovare pronto e acquisire la sensibilità per costruire un turismo che sia inclusivo».
«Inserire i villagers nel tessuto di un posto così piccolo è stata la vera sfida, e poteva andar anche male perché non è semplice entrare in una realtà così minuta. Ma quando abbiamo visto i profili selezionati, tutti di persone con grande esperienza, eravamo certi che avrebbe funzionato e che si sarebbe attivato quel qualcosa che solo la frequentazione prolungata può dare» spiega Arianna Merlini, responsabile comunicazione e marketing di Belvedere Spa. «Quello che ho apprezzato è stato il tempo a disposizione, lungo e dilatato, che ti permette di affrontare tutto con calma e razionalità, andando oltre le prime impressioni per cercare attenzione e profondità» spiega Sara Lucchi, responsabile dell’ufficio informazioni turistiche di Soave, un altro Comune Bandiera Arancione.
Già, tempo e relazioni. Sembrano essere queste le chiavi vincenti del progetto. Perché serve tempo per entrare in qualsiasi realtà, non bastano poche ore e uno sguardo veloce, soprattutto se si vuole provare a capire e suggerire qualcosa di sensato. Altrimenti si fa la fine degli elefanti nella cristalleria. E serve tempo anche per «attivare i sistemi relazionali, puntando sull’umanità degli operatori che accolgono nei loro b&b ed agriturismi» conferma Andrea Rampini di Codici, che con Jacopo Lareno Faccini ha animato il Working Village, co-progettando insieme al Touring il palinsesto all’interno di cui i villagers si sono mossi. Tempo per provare l’emozione dell’esperienza, per assaporarsi e capirsi, per generare quella chimica che gli allenatori di calcio chiamano “amalgama”. E che in queste situazioni invece è semplicemente l’elemento fondamentale perché un gruppo funzioni e generi risultati, sia per gli operatori che per gli ospiti.
«Ero curioso di capire cosa potevo prendere da questa esperienza» spiega Alberto Baldini, 21 anni, studente di ingegneria alla guida, da agosto, di un b&b a Ghizzano che si trova proprio nella Via di Mezzo, l’istallazione permanente di case colorate opera di David Tremlett. «Mi è servita perché mi hanno dato subito una mano dal lato pratico. E poi mi è servito per conoscere le altre realtà del paese che fanno turismo, che è il migliore modo per costruire quella famosa rete territoriale senza cui – ho imparato  – non si va tanto lontano» racconta.
Gli operatori – dalle cantine ai gestori di b&b fino ai ristoratori – in questi nove giorni di progetto sono stati delle spugne, esplicitando il bisogno di confrontarsi tra di loro e con gli esperti selezionati per capitalizzare il più possibile quest’esperienza che del resto è stata creata per loro. «Pensando a questo progetto abbiamo voluto fare qualcosa che fosse innovativo: un laboratorio di nuovi strumenti e modalità di azione, con una formula diversa, partecipata, fatta di incontri modellati sulle esigenze degli operatori locali» conferma Isabella Andrighetti, responsabile Certificazioni e programmi territoriali al Touring Club Italiano. E infatti a chiunque chiedi il punto di forza di un progetto simile è stato nella possibilità dell’incontro e dello scambio continuo. Un dare avere che è risultato vincente. «Fin dal bando quello che mi ha attratto è stata la possibilità dell’incontro con altri esperti che lavorano nell’ambito turistico ma con diverse specializzazioni ed esperienze. La cosa bella è che tutti hanno dimostrato di volersi metter in gioco con molta umiltà e voglia di stare a sentire» spiega Elisa Pizza, fotografa specializzata nella comunicazione digitale. «E poi venendo da una città come Roma mi sono resa conto che invece in certe situazioni più piccole, ancora non strutturate per il turismo come questa, qualunque cosa tu faccia comunque rimane e attiva qualcosa» racconta.
Così il suo workshop sulla smart-photography ha avuto subito un risvolto pratico: Alberto del B&b da Baba ha capito l’importanza di avere dei profili social e con l’aiuto di Elisa li ha aperti immediatamente. Ma ognuno, con molta naturalezza e semplicità ha detto la sua quando ha visto qualcosa che poteva esser migliorato con poco. Così Roberto accortosi di uno scalino di troppo alla cantina Le Palaie ha subito spiegato come fare una rampa che sia efficiente ma anche armonizzata con il contesto. E Marinella Censi, esperta di cicloturismo, dopo una sudata pedalata ha raccomandato di far sì che l’acqua delle fontanelle sia potabile (i cartelli dicono il contrario) «perché se c’è una cosa di cui ha bisogno un cicloturista è dell’acqua fresca senza troppi problemi». E sono solo i primi consigli, spontanei e immediati: «perché in questi giorni sono uscite molte suggestioni e suggerimenti utili che ci fanno riflettere perché alcune vanno nella direzione di quel che stiamo facendo qui a Peccioli, mentre altre sono del tutto nuovo e interessanti» commenta Arianna Merlini. «Siamo convinti che Peccioli abbia un grande potenziale turistico – dice il sindaco, Renzo Macelloni –. Noi abbiamo fatto tanto per svilupparlo e creare il contesto, le motivazioni di visita. Ma ora bisogna fare un passo ulteriore, e per farlo serve aprirsi all’esterno, far vedere tutto questo a qualcuno che non ti conosce, stare a sentire i suoi consigli e le sue critiche. Farci aiutare da persone con sensibilità diverse a stabilire connessioni tra tutte le cose che abbiamo messo in campo, per insegnarci a leggerle con occhi diverso» prosegue Macelloni.
Che poi era uno degli obiettivi: trovare nuove possibili letture del territorio in chiave turistica, come quelle raccontate nel workshop conclusivo da Simone Tinelli, guida ambientale che di formazione ha studiato sviluppo locale ma sta prendendo una seconda laurea in geografia. «Qui siamo in collina, c’è il borgo e le sue storie, le istallazioni di arte contemporanea, ma manca il racconto della campagna, che è quella in cui siamo immersi, che fa da determinante di questa situazione. E invece nel racconto dei territori manca sempre un’attenzione che non sia solo ambientale – questa pianta un tiglio, questo è un usignolo –, ma anche geografica, che sappia narrare il paesaggio e le sue stratificazioni naturali e umane» prosegue. Qualcosa che non ha ancora una sua specifica collocazione nell’universo delle expertise turistiche. «E infatti un’esperienza del genere mi è servita molto per capire ma anche per capirmi, per focalizzarmi sulle possibilità che una figura come la mia può avere per contribuire allo sviluppo di un territorio» spiega Simone. Del resto «investire sulle competenze e la formazione, ma non in modo frontale, passivo, ma più partecipato, diretto, umano era il metodo di lavoro scelto per il Peccioli Working Village» spiega Laura Agretti del Touring.

E ognuno l’ha interpretato a modo suo. Marinella Censi ha pedalato in lungo e in largo per capire il potenziale cicloturistico della zona «che sono tante, basta che però capire bene che tipo di ospite in bicicletta si vuole attirare». Elisabetta Nardelli ha camminato, osservato e parlato con chi si occupa di promozione del territorio presentando la sua esperienza in una grande società di marketing territoriale «perché leggendo il territorio e condividendo strategie e obiettivi si trovano le risorse e gli strumenti adatti a valorizzare ogni singola realtà in maniera unica e speciale, per esempio facendo leva sulla rete tra tutti gli attori del territorio». Elisa Pizza si è svegliata all’alba per fotografare e ha dispensato consigli su come usare un telefono per migliorare l’immagine della propria azienda. Annalisa Misceo, giornalista, ha provato l’esperienza dello smart working da un palazzo medievale nel cuore del borgo. Sara Lucchi ha interagito con le cantine, che sono il suo mondo, ma ha anche studiato come migliorare l’accoglienza dell’ufficio turistico invitando a sfruttare le risorse che ci sono sul territorio, dagli studenti di lingue agli storici locali alle associazioni di cittadini «avendo ben presente che chi arriva non deve essere considerato un turista, ma un ospite».
 

Tutti si sono confrontati e immersi a Peccioli e nelle sue frazioni, convinti che «fare esperienza del territorio vivendolo è una formula efficace per capirlo prima e per vedere se certe idee teoriche si possono mettere in pratica adattandole al contesto» spiega Tinelli. «Ma appunto, per saperlo devi prima percorrerlo e questo è stato il mio smart working: ascoltare i rumori, annusare la terra, leggere le screpolature del terreno andando a piedi per i sentieri, inoltrandomi nel bosco lungo il fiume» spiega Tinelli.
Finita l’esperienza, l’impressione che si ha guardandola dall’esterno e che tutti se ne tornino a casa felici. Felici delle relazioni costruite, felici di aver visto una realtà nuova. Nella speranza di aver gettato le basi di una community di esperti e operatori locali che sia in grado nel tempo di proseguire il progetto, cementando le relazioni. Perché alla fine tutti sono stati decisamente soddisfatti di aver dato e aver ricevuto. E di aver imparato. Che è una bella parola, ma sopratutto non è affatto poco.

INFORMAZIONI
- Il sito dedicato al Peccioli Working Village
- La nostra news con i selezionati per il progetto
- Il sito di Bandiere Arancioni con la scheda su Peccioli e gli approfondimenti