Imparano a nuotare prima di camminare. Raccontano di bambini di due anni abilissimi a stare a galla, capaci addirittura di andar sott’acqua senza problema alcuno, ma incerti sulle gambe. Questo perché la loro vita si svolge sempre sull’acqua. Bambini acquatici che vivono nel Sud est asiatico e appartengono a un popolo ignoto ai più che si chiama Moken.

Un popolo bistrattato e anacronistico, almeno per i nostri canoni: un popolo di cui pochi si occupano, forse perché non hanno neanche una terra da reclamare. Ma forse quello è il meno, perché una terra da reclamare non è un concetto che appartiene alla cultura dei Moken. Perché i Moken sono nomadi, gli ultimi nomadi del mare.

Originari del mar Cinese meridionale, pare si siano trasferiti nel mar delle Andamane circa 4mila anni fa. Oggi vivono nell’arcipelago delle Mergui, un gruppo di circa 800 isole conteso tra Birmania e Thailandia, ma le loro condizioni di vita peggiorano di anno in anno.

Colpa, da un lato, delle politiche governative (sia birmane che thailandesi) che impongono ai Moken di sedentarizzarsi tradendo la loro cultura, pena il non accesso ai diritti (relativi) garantiti agli altri cittadini dei due Paesi; dall’altro, del deterioramento progressivo dell’ambiente naturale dove vivono da secoli che rende più difficile trovare le risorse di cui vivere.

Eppure sono davvero pochi i Moken: meno di 4mila persone tra Myanmar e Thailandia. Di questi circa 400 vivono in forma più o meno stabile sparsi in alcuni villaggi all’interno del parco Nazionale marino di Lampi, tra Makyone Galet, Nyaung Wee e Ko Phawt. Gli altri tremila si muovono come hanno sempre fatto, incuranti che le acque siano formalmente birmane o thailandesi e per questo spesso perseguitati e discriminati, anche perché, proprio per via del loro nomadismo nella maggior parte dei casi non hanno documenti. 
Per tradizione durante la stagione secca girano di isola in isola a bordo delle loro case-imbarcazioni tradizionali, le kabang: si muovono raccolti in gruppi di una decina di imbarcazioni, vivendo di pesca e di quello che trovano sulle isolette dove si fermano. Durante la stagione delle piogge – che va da aprile a ottobre – invece si fermano e costruiscono capanne provvisorie in bambù su alcune tra il centinaio di isole che hanno battuto durante la bella stagione. Si istallano non lontano dalla battigia, in modo da poter sempre tener sott’occhio le loro imbarcazioni, che sono quanto di più prezioso posseggono.

In Myanmar si muovono grossomodo all’interno del territorio occupato dal Parco nazionale di Lampi, l’unico parco nazionale marino del Myanmar. Si tratta di un luogo assai ricco in termini di biodiversità – sono più di 1000 le specie identificate – popolato da foreste di mangrovie, fiumi, sorgenti, spiagge di sabbia bianca e barriera corallina. Un parco il cui sviluppo è sostenuto anche da Oikos, organizzazione non governativa italiana attiva da anni nel campo della tutela ambientale e della promozione del turismo sostenibile.

Dal 2007 Istituto Oikos opera in Birmania, nella regione di Tanintharyi nel Sudest del Paese, appunto al confine con la Thailandia. Cercando di preservare la biodiversità e l’ambiente naturale dove vivono i Moken, cercando di valorizzarne al contempo la cultura. Per esempio promuovendo lo sviluppo dell’esoterismo e del turismo comunitario, per offrire un’alternativa economica sostenibile alla popolazione locale. Per continuare a imparare a nuotare prima di camminare.