“Una fortezza fabbricata sopra gli scogli che stanno sulla riva del mare”. Così il geografo arabo Muhammad al-Idrisi, noto anche come Idrisi o Edrisi, descriveva Cefalù, l'antica Galfudi, nel Libro di re Ruggero (il nome completo era in realtà “Libro per il sollazzo di chi si diletta a girare il mondo”). Quel testo accompagnava la Tabula Rogeriana, il planisfero d'argento che Idrisi aveva realizzato a Palermo per Ruggero II di Sicilia, una delle più avanzate mappe del mondo medievale, con il nord in basso e il sud in alto.

Sopra e sotto è anche uno dei temi descrittivi di Cefalù, che vista da occidente, per chi arriva da Palermo, dà forma a una delle più note e inconfondibili cartoline della Sicilia: le due torri normanne della cattedrale che s'elevano sopra le basse case del borgo, la distesa compatta dei tetti che stanno fra la verticale mole della Rocca e l'orizzontale distesa marina. Un panorama unico, commovente nel tardo pomeriggio, quando il sole indora la pietra calcarea sia della cattedrale sia della grande rupe di Cefalù (l'antica Kephalòidion il cui nome si fa derivare proprio dal greco kefalé, “capo” o “testa”).


Cefalù - foto Getty Images

IL DUOMO DI CEFALÙ

Il Duomo, ufficialmente basilica cattedrale della Trasfigurazione (Cefalù è sede vescovile dal 1131), è “una stupenda cattedrale-fortezza, appoggiata all'immensa roccia che la sovrasta, da cui è stata tratta la pietra per la sua costruzione. La chiesa e la roccia matrice hanno lo stesso colore d'ocra giallastra. All'interno i mosaici, presi uno per uno e senza guardare il complesso, sono anche più belli dei mosaici di Monreale”. Così Guido Piovene, nel suo classico Viaggio in Italia, racchiuse in poche parole il fascino della cattedrale di Cefalù: fascino tanto del monocromo esterno quanto del rutilante interno, come due facce così diverse di una stessa splendente medaglia. A volere il Duomo fu proprio Ruggero d'Altavilla (1095-1154), secondo la leggenda a seguito di un voto fatto quando scampò a un naufragio, approdando proprio sulle spiagge di Cefalù. In ogni caso, fu di sicuro il re di Sicilia a decretare lo splendore di Cefalù e ad avviare i lavori della grande cattedrale, nel 1131. Purtroppo non la vide mai ultimata: alla sua morte, il 29 febbraio 1154, non erano ancora completate la facciata, le torri e i mosaici. Le spoglie del sovrano e dei suoi familiari furono accolte in cattedrale, dentro sarcofagi reali in porfido, ma l'idea di Cefalù come pantheon reale della dinastia normanna non durò a lungo. Qualche decennio dopo, Federico II avrebbe fatto portare a Palermo i sarcofagi, intenzionato a riutilizzarli per se stesso.
Duomo di Cefalù - foto Getty Images

Le torri normanne e la slanciata navata dicono di modelli romanici nordici, di derivazione cluniacense, ma non mancano gli influssi arabi, come nel soffitto in legno dipinto e negli archi doppi a sesto acuto che ricordano lo stile dell'Andalusia araba. Il capolavoro sono però i 600 mq di mosaici del presbiterio, per i quali Ruggero fece arrivare maestri musivi bizantini da Costantinopoli. Come a Monreale, ma con mezzo secolo di anticipo, un grandioso Cristo Pantocratore domina il catino absidale su uno sfavillante fondo dorato, circondato gerarchicamente dalla Madonna e da santi e angeli, in una scena carica di simbologie. 


Duomo di Cefalù - foto Getty Images

Sempre in chiesa, nella navata sinistra, di rilievo è una realistica Madonna con il Bambino scolpita da Antonello Gagini nel 1533. Un altro gioiello è il chiostro canonicale, con i suoi capitelli binati. Infine, dopo aver visitato il Tesoro della Cattedrale, che conserva manufatti e paramenti liturgici, argenti sbalzati, icone, statue e persino brandelli delle vesti diaconali di Ruggero II, vale la pena salire sulle torri (si può anche in notturna) e percorrere i tetti del lato meridionale, con vista d'aquila sulla piazza e su tutto il borgo medievale. 

CORSO RUGGERO, IL PAESE E LA ROCCA
E il borgo stesso merita di essere esplorato in lungo e in largo, a livello del suolo. Attraversata Piazza del Duomo, con i suoi nobili palazzi, subito si incrocia il lungo corso Ruggero, l'antico decumano romano che taglia tutto il borgo antico da nord a sud, e che è intersecato da una decina di viuzze ortogonali, dirette a ovest. Vale la pena sia percorrere tutto il corso, sia perdersi in queste stradine ortogonali, andando a cercare gli artigiani del legno o della ceramica, fermandosi davanti alle facciate delle numerose chiese (San Domenico, Sant'Antonio, Santo Stefano o del Purgatorio, Santa Maria della Catena e tante altre purtroppo quasi sempre chiuse). Una leggenda ha accreditato come residenza di Ruggero II la mole angolare dell'Osterio Magno, fra le poche testimonianze della Cefalù medievale: in realtà si tratta di un palazzo eretto fra Due e Trecento dai conti di Ventimiglia.

Negozio di artigianato in una via laterale di corso Ruggero, Cefalù - foto Roberto Copello​

Corso Ruggero è anche la via dello shopping, dove si trovano in vendita prodotti cosmetici e dolciari alla Manna delle Madonie (presidio Slow Food, è una tipicità ormai solo dei paesi di Castelbuono e Pollina). Un tocco di modernità si incontra al numero 20 del corso, dove la nicchia che alloggia i distributori automatici di bevande di un'azienda siciliana è stata trasformata in una sorta di installazione artistica: una parete di neon glorifica la saggezza cefaludese con frasi tipo “La festa du Sarbaturi si cuceva du devozioni”, “U specchiu d'acqua da Marina brilla di notti comu faiddi di focu a 'nmenzu a rina”, “Nto lavatoiu medievali l'acqua è salata come chidda du mari ma li fimmini ci sapevanu lavari”.


I detti di Cefalù in una installazione su corso Ruggero - foto Roberto Copello​

Ancora due passi verso sud e il corso termina a piazza Garibaldi, l'antica “Porta di terra”, una delle quattro che segnavano l'ingresso alla città attraverso le sue mura. Piazza Garibaldi è pure il luogo dove il giovane patriota Salvatore Spinuzza, protagonista di rivolte anti borboniche, nel 1857 a soli 28 anni fu “moschettato”, come dice una lapide sul luogo dell'esecuzione. Dalla piazza, un sentiero a mezza costa sale alla Rocca, dove in una ventina di minuti si raggiungono i resti di fortificazioni bizantine e di un santuario preistorico popolarmente chiamato tempio di Diana, una costruzione megalitica. Occorrono altri 40 minuti, invece, per sbucare sulla vetta della Rocca, presso i resti di un castello del XII-XIII secolo. Favolosa la vista, che spazia da Palermo a Capo d'Orlando, con le Eolie al largo.

GLI AFFACCI SUL MARE DI CEFALÙ
Ma per vedere il mare il solo modo è scarpinare su per la Rocca? Quando ci si trova nel borgo quasi quasi parrebbe di sì. File compatte di case nascondono la distesa blu, sia a ovest che a nord, ma poi non è difficile trovare un passaggio che infine consenta di affacciarsi sul mare. Lo si intravvede sul lato ovest, oltre le fessure dove si getta l'acqua del Lavatoio medievale, cui si scende con una scalinata entro Palazzo Martino.


Lavatoio medievale, Cefalù - foto Getty Images

Sul lato nord del borgo, invece, si può scoprire che a difendere Cefalù dai pericoli del mare ci sono ancora le mura megalitiche, un tratto delle fortificazioni arcaiche della polis greca di Kephaloìdion (V-IV sec. a.C.). Realizzate con grandi blocchi di pietra lumachella (la pietra calcarea della Rocca soprastante) sovrapposti a secco, sono spesse anche tre metri. Dal bastione di Capo Marchiafava, aguzzo sperone proteso nel Tirreno, con l'aria limpida si avvistano Filicudi e Alicudi. Quindi, scendendo alcuni gradini, si cammina in mezzo agli scogli lungo un sentiero cementato che, passando sotto le terrazze panoramiche dei ristoranti, punta verso Piazza Marina e la bella spiaggia che sta sotto il fronte a mare della città murata: un angolo di Cefalù ormai famoso quasi quanto la cattedrale e la Rocca.

Il perché lo spiega una lapide collocata sul molo. No, non quella che omaggia i sette coraggiosi che nel marzo 1951 salvarono cinque pescatori in balia del mare in tempesta, ma quell'altra che spiega come proprio qui, nel 1988, Giuseppe Tornatore girò una famosa sequenza di Nuovo Cinema Paradiso, il film con cui poi vinse un Oscar. Il primo ciak era stato dato l'8 maggio nel Teatro Cicero, ma nella memoria collettiva resta soprattutto la scena girata al Molo Vecchio e a Porta Marina: Polifemo e Ulisse sul telo del cinema all'aperto, i ragazzi che guardano il film a sbafo dal mare stando in piedi su cinque barche, il giovane proiezionista Salvatore arrabbiato perché la fidanzata Elena starà lontana per tutta l'estate, il temporale che costringe gli spettatori a un fuggi fuggi, Elena che inattesa si materializza con un bacio, mentre la musica di Ennio Morricone inonda la scena di nostalgia...


Spiaggia, Cefalù - foto Getty Images

IL MUSEO MANDRALISCA E IL RITRATTO D'IGNOTO DI ANTONELLO
Così, grazie a un film di successo, Cefalù è diventato un borgo da Oscar. Da Ruggero II a Peppino Tornatore ce ne sarebbe abbastanza per ricollocarla sull'atlante delle mete internazionali. Epperò ancora nulla abbiamo detto della gemma nella corona: il celebre, enigmatico Ritratto d'ignoto di Antonello da Messina, che proprio qui ha la sua casa. Ma che ci fa un capolavoro di tale levatura nella piccola Cefalù? Per capirlo occorre raccontare di Enrico Pirajno barone di Mandralisca (1809-64), studioso dagli interessi eclettici, nonché patriota, politico, filantropo e collezionista. Insomma, una figura chiave della vita cefaludese di metà XIX secolo. Che in vita promosse la cultura e combatté l'analfabetismo. E da morto, non avendo eredi, lasciò alla città i fondi per istituire il liceo che porta il suo nome, oltre a una biblioteca di seimila volumi e alle sue eclettiche collezioni. Che comprendevano la piccola tela di Antonello, in cui la tradizione a lungo ha visto rappresentato un marinaio dal sorriso beffardo.


Ritratto d'ignoto, Antonello da Messina, particolare - Museo Mandralisca, Cefalù - foto Roberto Copello​

La posa di tre quarti, il fondo scuro, la luminosità fiamminga, la capacità di scavo psicologico sono tutti elementi peculiari dello stile di Antonello. Eppure ci vollero secoli per riconoscerla come tale. È tuttavia una leggenda che il barone avesse rintracciato il quadretto da uno speziale di Lipari, che ne aveva fatto lo sportello di un mobiletto da farmacia. Lo scrittore Vincenzo Consolo nel 1975 riprese questa storia ne Il sorriso dell'ignoto marinaio, romanzo storico ambientato in epoca risorgimentale e che ha come protagonista proprio Mandralisca. Ma in realtà, come è stato scoperto di recente, la tela apparteneva alla famiglia Pirajna almeno dal 1738, e nuovi studi hanno ipotizzato che il personaggio ritratto sia Francesco Vitale da Noja, vescovo di Cefalù sul finire del Quattrocento. Altro che ghigno di marinaio, insomma. Lo scriveva nel 1969 il critico Roberto Longhi, indignato: “Non discuto il valore letterario, però questa storia del ritratto di Antonello che rappresenta un marinaio deve finire!” E allora? La verità è che questo quadro si nega a ogni verità, come aveva intuito Salvatore Sciascia, intravvedendovi un'icona della sicilianità: “A chi somiglia l'ignoto del Museo Mandralisca? Al mafioso della campagna e a quello dei quartieri alti, al deputato che siede sui banchi della destra e a quello che siede sui banchi della sinistra, al contadino e al principe del foro; somiglia a chi scrive questa nota (ci è stato detto); e certamente somiglia ad Antonello. E provatevi a stabilire la condizione sociale e la particolare umanità del personaggio. Impossibile. È un nobile o un plebeo? Un notaro o un contadino? Un uomo onesto o un gaglioffo? Un pittore un poeta un sicario? ‘Somiglia’, ecco tutto”.

Il Museo Mandralisca espone anche tavole fondo oro, quadri siciliani, veneziani e fiamminghi dal XV al XVIII secolo, collezioni di minerali e conchiglie, una ricca sezione archeologica con monete antiche, bronzetti, marmi e iscrizioni funerarie, mosaici. E c'è poi un'altra, impagabile star, solo parzialmente messa in secondo piano dal quadro di Antonello. È l'icastico cratere del venditore di tonno, su cui un ignoto artista rappresentò una vivace scenetta di vita della Magna Grecia: giunto da Lipari (questo sì, davvero), il vaso a campana del IV sec. a.C. raffigura un pescivendolo che sta tagliando un tonno con un grosso coltello, mentre un cliente tiene nel palmo una moneta, poco convinto, quasi temesse di essere imbrogliato. Insomma, dopo due millenni e mezzo, nulla di nuovo sotto il cielo siculo...


Cratere IV secolo a.C. - Museo Mandralisca, Cefalù - foto Roberto Copello​

INFORMAZIONI
Siti web utili: Cattedrale di Cefalù sul sito "Palermo Arabo-Normanna e le cattedrali di Cefalù e Monreale"; visita virtuale del Duomo di CefalùMuseo Mandralisca.

DOVE ALLOGGIARE
A ovest di Cefalù, nel maggio scorso è stato inaugurato l'unico polo a 5 stelle con formula all-inclusive di tutta la Sicilia. Il resort, esteso su dieci ettari, è la prima apertura in Italia del gruppo spagnolo Palladium Hotel Group, che conta 48 hotel in sei Paesi. Situato fronte mare a Campofelice di Roccella, dista 50 minuti in auto dall'aeroporto di Punta Raisi, in una posizione ideale per consentire agli ospiti di scoprire non solo Cefalù, ma anche Palermo, Bagheria, Termini Imerese, Monreale. Il complesso, composto da due hotel con 469 camere e suite (Grand Palladium Garden Beach Resort & Spa e Grand Palladium Sicilia Resort & Spa), ha accesso diretto alla spiaggia e include 4 piscine (una specifica per bambini), tre miniclub, un programma completo di attività e spettacoli dal vivo, oltre a spazi polifunzionali interni ed esterni per conferenze ed eventi aziendali. Inoltre la formula all inclusive consente a tutti gli ospiti di accedere liberamente ai nove bar e ai quattro ristoranti del resort: La Sicania di specialità locali, il mediterraneo Portofino, la steakhouse El Dorado e l’asiatico Chang Thai. Info: www.palladiumhotelgroup.com.