«Ese es el verdadero drama: la enorme despoblación en amplias zonas del interior». Letta in spagnolo questa frase suona meno apocalittica di quanto non lo sia in italiano, dove si usa la parola abbandono che suona sempre come una sentenza. Anche se il concetto rimane il medesimo: c’è una fetta d’Italia, anzi dell’Italia interna, che sta appassendo.
Alpi, Appennini e zone periferiche se la passano piuttosto male. Chiudono case, si abbandonano campi, stalle e attività produttive. Chiudono interi paesi: si perde popolazione, che migra a valle, va in città, o emigra al Nord, all’estero, comunque altrove. Rimangono solo gli anziani a custodire memorie e resistere. Poi domani si vedrà.
LA SPAGNA SPOPOLATA
Non è un fenomeno nuovo, l’esodo rurale: già dagli anni Cinquanta in tutta Italia si sono registrate successive ondate di emigrazione interna, e molti piccoli paesi non avevano resistito. Ma adesso tutto sembra prendere proporzioni più grandi, la case che si chiudono sembrano essere le ultime. E non si tratta di un fenomeno solo italiano, tutt’altro. Senza andar troppo lontano è in Spagna che da tempo si è preso a parlare con frequenza di questo tema dello spopolamento delle zone rurali con libri spesso belli da leggere e assai interessanti per le riflessioni. Anche perché basta aver viaggiato in auto per il paese iberico per rendersi conto che appena fuori dalle città non costiere, Madrid compresa, ci si imbatte in una specie di deserto. Un vuoto abitativo dovuto a una diversa storia dell’insediamento umano nella sterminata Meseta, certo, ma anche a un recente abbandono. 
Lo ha raccontato il giornalista Sergio del Molino in La Spagna vuota (Sellerio, pag 394, 16 €) che è diventato un po’ un caso e ha avuto il merito di portare l’attenzione sul fenomeno e fare proseliti, ovvero un fiorire di testi – romanzi, inchieste giornalistiche, saggi storici – sul tema. Il libro di Sergio del Molino racconta di paesaggi estremi, nudi, deserti, montagne aride, paesi costruiti in luoghi impensati in cui ci si imbatte dopo chilometri su strade assolate dove non si incontra anima viva e dove, una volta arrivati, ci si domanda: ma chi ci abita qui? Ma soprattutto: perché?
Una progressiva despoblación che riguarda oltre il 50% della superficie totale del Paese, una zona dove vive meno del 15% della popolazione. Nei fatti un enorme vuoto che di certo ha radici antiche – la Spagna vuota non è mai stata piena, Don Chisciotte non si addentrava certo in lande affollate – ma che ha avuto, spiega Del Molino, il suo apice tra gli anni Cinquanta e Settanta.
Anni in cui c’è stato il grande esodo verso le città. Un esodo che è raccontato assai bene in La pioggia gialla, romanzo di Julio Llamzares da poco ritradotto da Il Saggiatore (pag. 164, 20 €). Il romanzo che racconta l’abbandono di Anielle, paese che esiste – tra le vallate dei Pirenei, nella provincia di Huesca – e che nel 1970 rimase completamente disabitato, marcendo in silenzio. Un libro di fantasia con personaggi inventati che a loro insaputa avrebbero comunque potuto essere reali, che racconta come una cronaca a tratti onirica la vita dell’ultimo abitante di Anielle che giorno dopo giorno rivive le partenze degli abitanti del paese e il suo sprofondare in una noia densa, granitica, desolante. Lo fa accumulando silenzio e ruggine che si posano sopra la memoria e la vita stessa. Lui si sforza di mantenere in vita le pietre, ma in realtà la lenta progressione della sua rovina è più veloce dei suoi sforzi. Un libro assai lirico, pubblicato a fine anni Ottanta che parla con la forza del romanzo di quel che altri raccontano con le parole del sapere e della ricerca. 
L'ABBANDONO IN ITALIA
In Italia l’antropologo Vito Teti più di altri ha dedicato la sua decennale ricerca ad analizzare il senso dei luoghi e a catalogare quel che resta, soprattuto in Calabria, terreno dei suoi studi. Raccogliendo le memorie di paesi in via di abbandono, a rischio di spopolamento, prima che se ne perdessero per sempre le tracce e dunque la ricchezza. E Quel che resta (Donzelli, pag. 308, 30 €) è anche il titolo di un denso libro con una introduzione di Claudio Magris – un altro che si è occupato di piccoli luoghi – in cui Teti ritesse il filo dei suoi suoi temi cercando di creare un’antropologia dell’abbandono e del ritorno, con un libro che mischia scienza e poesia, svicolando dal rischio retorico della nostalgia piagnona del «come era bello qui, come si viveva bene», concentrandosi piuttosto sulla possibilità del riscatto, sull’innovazione, l’inclusione e il mutamento per reinventare il Paese.
E la poesia è la cifra di Franco Arminio che da anni porta avanti un lavoro letterario concentrato sui quei luoghi dell’Appennino meridionale che hanno issato o stanno issando bandiera bianca. Lo ha fatto in diversi libri, da Terracarne (Mondadori) a Vento forte tra Lacedonia e Candela (Laterza) in cui viaggia nei paesi ormai invisibili del Sud Italia, quei paesi di cui si parla quando c’è un terremoto, o un fatto di cronaca nera.
Paesi dell’Irpinia, della Lucania, del Sannio, da cui si emigra oggi che cento anni fa, dove si torna - se si torna – in estate per la festa del santo patrono, un giro al cimitero e un ricordo sospirato. Libri a cavallo tra geografia e poesia, escursione letterarie e certificazione di uno stato di malessere quotidiano forse senza rimedio. Libri che rientrano nella categoria della Paesologia, disciplina letteraria fondata da Arminio stesso, una «disciplina con molto avvenire, perché i paesi di avvenire ne hanno poco».
UN'IDEA DIVERSA DI FUTURO
Disciplina che ha di certo seguaci almeno letterari, come Mauro Daltin, che ne La teoria dei Paesi vuoti (Ediciclo editore, pag. 142, 14 €) compie un viaggio in alcuni dei borghi abbandonati d’Italia. Non tutti, per carità perché le statistiche dell’Istat dicono che sono circa 6mila, comprendendo nel conto frazioni di poche case, cascine agricole un tempo abitate da una dozzina di famiglie con prole numerosa, ma certo alcuni dei più significativi. Come Consonno – ex paese dei balocchi a due passi da Milano – o Gena Bassa, che si trova nella Valle del Mis, nel parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi. Ma non c’è solo abbandono, c’è anche speranza e possibilità di cambiamento.
Basta andare in alcuni dei borghi Bandiera Arancione del Touring per capirlo. Lo racconta anche il giornalista Luca Martinelli in L’Italia è bella dentro (Altreconomia, pag. 144, 13 €), storie di resilienza, innovazione e ritorno nelle aree interne. Persone che tornano a vivere nei paesi dell’Italia interna e nelle zone di montagna, che investono in loro stessi e in un’idea diversa di futuro. Sacche di resistenza da cui prendere esempio per impostare una strategia per ridurre l’esclusione fisica e sociale di queste terre, per continuare a prendersi cura e tutelare il patrimonio rurale e il paesaggio. Un modo per scongiurare l'avverarsi di quel detto che i portoghesi ripetono spesso quando parlano del loro Paese: «Portugal è Lisboa. O resto è paisagem». Il resto è paesaggio. Ma un paesaggio pieno di storie, da andare a cercare. Oppure da leggere.