Si chiama L’Italia diversa, il volume a cura di Gabriele Salari sulla storia delle politiche e delle azioni delle associazioni di ambientalismo in Italia, appena edito da Gribaudo (49 euro). E naturalmente il Tci non poteva mancare, nelle pagine dell’opera, insieme a Fai, Italia Nostra, Wwf e Lipu: cinque organizzazioni che saranno presenti giovedì 17 novembre alla Triennale di Milano per presentare la novità editoriale e discutere sul tema, insieme a docenti universitari ed esperti di tematiche legate all’ambiente (ingresso libero, dalle 9 alle 13; per maggiori informazioni, www.triennale.org). Si parlerà di sfide ambientali del futuro, dal cambiamento climatico alla nuova economia dello sviluppo sostenibile, dalla rivoluzione agricola alla conservazione della biodiversità fino al nuovo movimento delle green cities.

Abbiamo posto qualche domanda a Gabriele Salari, giovane giornalista e divulgatore ambientale, per capire meglio il significato del volume che riguarda molto da vicino anche la nostra associazione.

Gabriele, com'è nata l'idea di scrivere questo libro?

Tutto nasce dal ricordo del disastro di Seveso. Non l'ho vissuto - ero nato da poco - ma la data del 1976 è impressa ormai come una pietra miliare nell’ambientalismo: mettere in luce quanto è stato fatto per l'ambiente in Italia in questi 35 anni grazie alle associazioni ambientaliste è stato il punto di partenza. Poi ci si è resi conto che bisognava anche evidenziare i traguardi ancora da raggiungere e le nuove sfide che impongono gli anni 2000.

Qual è l'obiettivo del volume?

Non è un libro da sfogliare per le fotografie, anche se la loro qualità è davvero molto alta. Se servirà a far prendere maggiore coscienza dei problemi ambientali e soprattutto di quanto riesce a fare il volontariato con pochi mezzi, tanta tenacia e ostinazione, allora avremo centrato l'obiettivo. E più forza avranno le associazioni ambientaliste, più iscritti e attivisti, maggiore sarà la mia soddisfazione di aver fatto un bel lavoro.

Cosa emerge dalla storia dell’ambientalismo italiano?

Che se la società civile spinge per il cambiamento e la politica presta un orecchio, anche traguardi che sembrano utopie prima o poi possono essere raggiunti. Prendiamo l'energia solare, per esempio. Solo 4 anni fa eravamo il fanalino di coda d'Europa nonostante l'irraggiamento solare di cui godiamo. Grazie alla politica di incentivi varata allora dal governo Prodi ora siamo i primi dalla classe, con 12 mila megawatt, superando anche la Germania che allora era il faro.

Quali sono le prospettive per il futuro immediato?

Basta guardare a quanto accaduto di recente con le alluvioni in Liguria e Toscana. Viviamo con apprensione ogni annuncio di una perturbazione come se fosse un monsone o un tornado. Il territorio, violentato dall'uomo, non è più in grado di reggere una quantità di pioggia eccessiva e i cambiamenti climatici porteranno sempre più a eventi estremi. Vogliamo prenderci cura dell'ambiente e del territorio oppure piangere sempre nuovi morti?

Qual è il ruolo del volontariato?

Uno degli obiettivi del libro è proprio quello di valorizzare il patrimonio del volontariato che si muove in difesa dell’ambiente. Alle Cinque Terre è morto un volontario sardo; a Genova c’è stata la risposta più generosa e sorprendente, venuta da centinaia di ragazzi che si sono messi a spalare. E’ un volontariato silenzioso di cui raramente si parla, benchè dia tantissimo al paese: se non ci fossero i volontari quanto ci costerebbe tenere in piedi l’Italia? L’Italia è uno dei paesi più ricchi di biodiversità del mondo, grazie alla sua posizione; ma tutto il resto è l’uomo che l’ha realizzato, non dimentichiamocelo.

Quali sono i limiti dell'ambientalismo italiano, per esempio in confronto a quello europeo?

Non credo si possano fare paragoni: è diverso il rapporto tra uomo e natura. In Germania è un movimento molto più radicato, ma perché ci si è staccati prima e più nettamente dalla natura per urbanizzarsi. Da noi gli orsi sono a un'ora e mezzo dalla capitale e la foca monaca fa capolino ogni tanto dove meno ce l'aspettiamo. Il paesaggio italiano è modellato dall'uomo: questa è una ricchezza, ma fa sì anche che la coscienza ambientalista sia diversa. Diamo troppo per scontato che viviamo in un paradiso e così pian piano lo distruggiamo. Il Wwf in Italia è più forte che in tanti altri Paesi europei e ha creato un sistema di oasi unico. Il Fai riprende la felice intuizione del National Trust inglese ma non è che esistano molti altri omologhi in Europa. Il Touring è un'associazione unica. Insomma, abbiamo dei bei primati anche guardando alle associazioni.

Nel libro, intervisti i presidenti di cinque associazioni ambientaliste, tra cui quello del Touring Club Italiano, Franco Iseppi. C’è un tratto comune negli obiettivi dei vari gruppi?

Queste associazioni operano in molti campi, anche parecchio diversi tra di loro. Ma tutte hanno individuato un’emergenza primaria, una sfida da affrontare subito: la cementificazione del territorio. Sempre più terreni agricoli, anche di pregio, sono consegnati ai cementificatori – anche quando esistono capannoni vuoti... - e spesso senza la valutazione di impatto ambientale. D’altronde, se togliamo l’Ici ai comuni non rimangono molti soldi...  

Quale dovrebbe essere secondo te il ruolo delle associazioni?

Non devono inventarsi cose nuove, le associazioni. Devono catalizzare il consenso che hanno e provare a tradurlo in cambiamento. Idee e proposte sono quelle di sempre: servono strumenti nuovi per dare concretezza. Anche se a volte le iniziative sono più dettate dal marketing che dalle esigenze del territorio: una tendenza che potrebbe essere pericolosa, in futuro. Si raccolgono fondi per progetti che sono più di immagine che altro.