«1815 – Indonesia, il vulcano Tambora esplode ed erutta per tre mesi di fila. Il sole scompare dalla superficie della terra per mesi a causa del pulviscolo, una schermatura che copre tutta l’Europa e l’America del Nord. Effetti devastanti: aumento delle piogge, raffreddamento globale. Agricoltura in ginocchio, esodo di popolazione verso le città. In Irlanda carestia con 65mila vittime. Il 1816 è l’anno senza estate. In Germania scarseggia l’avena, si cominciano a uccidere i cavalli ma, con loro, anche il principale mezzo di traino. Il barone Karl von Drais de Sauerbronn ha un’idea e realizza un sogno vecchio quanto l’uomo: mettere due ruote in fila su un’asse di legno sul quale ci si mette a cavalcioni e si spinge camminando. Non ha ancora un sistema autonomo di trasmissione, ma il veicolo funziona: è la draisina, il prototipo della bicicletta. Siamo nel 1817.

 

Parte dall’evocazione delle origini l’affondo su Il futuro della bicicletta, la bicicletta del futuro, tema dell’ultimo appuntamento di fine tappa, che ieri, dal Museo dell’Opera del Duomo, ha accompagnato l’arrivo della Carovana ciclistica Milano-Roma nella città di Orvieto. Uno sguardo al passato per decifrare il domani del mezzo forse più semplice e longevo della storia. Traghettati, come sempre, dalla regia di Albano Marcarini, presidente di Comodo e animatore degli appuntamenti pomeridiani. “A quasi due secoli di distanza, la due ruote è ancora qui. E questo fa ben sperare per il futuro». Alcuni dati di oggi: «Nel 2001, il 2,9 per cento della popolazione italiana usava la due ruote come abituale mezzo di trasporto urbano; oggi è il 9 per cento. Non abituale, ma almeno tre o quattro volte la settimana un altro 14 per cento. Quasi un quarto della popolazione italiana, insomma, usa più o meno di frequente la bici per muoversi, andare al lavoro, a scuola, a fare compere».

 

Dopo il saluto del sindaco di Orvieto, Antonio Concina, ai carovanieri e ai rappresentanti del Tci, tocca all’assessore allo Sport, alla cultura e al tempo libero della regione umbra, Fabrizio Bracco, entrare nel vivo del tema: «La vostra iniziativa rilancia un’idea di turismo dolce, lento, esperienziale, che è alla base della nostra strategia di promozione territoriale, in opposizione alla dimensione di viaggio “mordi e fuggi”», spiega. «Promozione che passa anche attraverso l’allocazione di risorse per lo sviluppo di nuove infrastrutture. Due in particolare i filoni tematici che ci vedono attivi con il maggior numero di progetti: i percorsi della fede, lungo la variante umbra della via Francigena; e il cicloturismo, con la creazione di itinerari dedicati sulle direttrici secondarie. Come l’anello del Trasimeno o una serie di percorsi e collegamenti lungo l’asse del Tevere, che stiamo valutando in sinergia con la provincia di Roma. Una bella iniziativa che mette insieme i due segmenti, spirituale e ciclistico, è il pellegrinaggio sulle due ruote lungo la tratta Assisi-Firenze percorsa da Gino Bartali, fra il 1943 e il 1944, per consegnare agli ebrei rifugiati nei conventi francescani i salvacondotti preparati dal tipografo assisano Tinto Brizi».

 

Con un nota bene. «A piedi o in bicicletta, a cavallo o lungo le ferrovie minori, ci piace raccontare l’Umbria come cuore verde d’Italia: un luogo capace di regalare emozioni intense, ma sempre nel rispetto ambientale, secondo un paradigma di sviluppo sostenibile». E non c’è dubbio che la bicicletta sia lo strumento ideale per coniugare entrambi gli aspetti alla conoscenza del territorio. “Non è un caso che le iniziative legate al cicloturismo registrino sempre il tutto esaurito», conferma Roberto Bertini, assessore allo Sport della provincia di Perugia. «Sciocco sarebbe non investire nel suo grande potenziale, capace di attrarre numeri importanti”. Una volontà politica lungimirante confermata nei fatti dall’impegno per il recupero e la conversione alle ruote “verdi” di tracciati ferroviari dismessi. Un esempio su tutti: «L’itinerario Spoleto-Norcia: 53 chilometri di rara suggestione, che meritano l’appellativo di Gottardo dell’Umbria».

 

Bicicletta, dunque, come strumento di conoscenza e di approccio “lento” al territorio. Ed è proprio per diffondere una diversa cultura del viaggio, più consapevole, più sostenibile, che nascono i Club di Territorio firmati Tci, ora anche in Umbria. «Per mantenere un dialogo costante e diretto nostri Soci e i cittadini, abbiamo avviato un percorso che porti a ridisegnare il rapporto con le coi geografie e il tessuto locali. E’ un’occasione per vivere attivamente l’Associazione ma anche e, soprattutto, il proprio territorio, partecipando a un gruppo locale coordinato da volontari esperti», spiega Rita Rossetti, console regionale Umbria. «Grazie al Club è possibile contribuire alla realizzazione di iniziative nella città di residenza, per valorizzare il patrimonio storico, artistico o ambientale e per migliorare l’offerta ricettiva. Qualche esempio: le giornate Touring, la Penisola del tesoro o le visite consolari. Formula di una presenza più visibile e funzionale, che inneschi un rapporto diretto con la cittadinanza, la loro realtà quotidiana e i turismi locali».

 

Dopo la presentazione dei 24 ciclisti della carovana, attesi oggi in dirittura d’arrivo in piazza del Quirinale, tocca al presidente del Touring, Franco Iseppi, tirare le fila del viaggio. «Tra le molte iniziative promosse in occasione dei 150 anni dell’unità nazionale, la Carovana ciclistica è forse quella che meglio sintetizza la storia del sodalizio e la capacità di rapporto con il contemporaneo. Una volta la bicicletta era simbolo di modernità, oggi è il simbolo di uno stile di vita. L’intuizione dell’Associazione è stata quella di coglierne valorizzarne il potenziale unitario: non solo veicolo di buon turismo, ma strumento di integrazione. La prossima edizione dell’impresa potrebbe rilanciare con una doppia sfida: due gruppi, due carovane in viaggio verso Roma, una in partenza da Milano, l’altra da Palermo».

 

La frase del giorno: «La mia bicicletta ha due nomi: quando le gambe viaggiano in sintonia con la catena, la chiamo “Peppona”, in omaggio al fuoriclasse del cinema di cui sono omonimo. Molto più spesso, ahimé, è soltanto don Camilla». Gino Cervi, partecipante alla Carovana.