Il 27 settembre, ormai da oltre quarant’anni, viene celebrata la Giornata mondiale del turismo: la scelta fu presa, nel 1980, dall’Organizzazione mondiale del turismo. Nel 2021 la Giornata mondiale del turismo è dedicata a un tema di stretta attualità: “Tourism for Inclusive Growth”. È l’inclusione del resto una delle priorità che la società globale si deve porre ora che stiamo vivendo una fase molto delicata di lenta, e speriamo progressiva, uscita da una pandemia che ha sconvolto gli equilibri economici e sociali del Pianeta in cui l’equità tra Nord e Sud del mondo, ma anche all’interno dei singoli Paesi, sembrava un obiettivo difficilmente raggiungibile ben prima che Covid-19 deflagrasse in tutta in tutta la sua potenza.
La portata eccezionale delle conseguenze che il coronavirus ha avuto sul turismo è purtroppo sotto gli occhi di tutti: considerando gli arrivi internazionali – nel 2019 oltre 1,4 miliardi – il settore ha registrato nel 2020, rispetto all’anno precedente, una perdita del 73% dei flussi cui è corrisposto un crollo della spesa turistica collegata di circa il 64%, che ha evidentemente penalizzato in particolare i Paesi emergenti in cui spesso il turismo costituisce una voce estremamente importante dell’economia. Nella fase più acuta della pandemia – ovvero nella prima parte del 2020 – l’UNWTO ha calcolato che oltre l’80% delle destinazioni mondiali (dati espressi in termini di arrivi internazionali 2019) aveva predisposto una completa chiusura delle frontiere come forma di protezione dal dilagare della pandemia, misura che bloccando la mobilità ha praticamente “congelato” il turismo.
A oltre un anno di distanza, i dati sinora disponibili sui primi cinque mesi del 2021 ci mostrano una situazione ancora molto complessa e per certi versi drammatica: sugli stessi mesi del 2020 il calo degli arrivi internazionali si assesta sul -65% e sui primi cinque mesi del 2019 la situazione è ancora più pesante (-85%), nonostante sia di molto diminuita la quota di Paesi che nello stesso periodo ha adottato una chiusura completa delle frontiere (34% a febbraio 2021), optando invece perlopiù per misure di chiusura parziale (47%).
Se questo è il dato complessivo a livello mondiale, esiste comunque un’elevata variabilità nelle diverse macroaree che dipende dalle differenti politiche e dalla disomogenea diffusione della campagna vaccinale nella popolazione: l’Europa, grazie all’azione coordinata dell’Unione, è stato il continente che più si è aperto al turismo quest’estate mentre in altre aree del mondo (Africa in particolare ma anche nell’area Asia-Pacifico) le restrizioni sono aumentate tra l’inizio del 2021 e il periodo estivo. Questa situazione a macchia di leopardo – determinata da una diffusione del virus non omogenea nel tempo che risente anche dei fattori climatici con un rallentamento dei contagi nei mesi più caldi – non consentirà facilmente una ripresa coordinata dei flussi: secondo le ultime previsioni dell’UNWTO, infatti, si dovrebbe avere un riallineamento del volume di viaggiatori ai dati del 2019 non prima del 2023-2024.
Nel frattempo, i Paesi che potranno meglio assorbire la coda lunga di Covid-19 saranno quelli che possono contare su ampi mercati interni o su una tradizione risalente nel tempo di turismo domestico per arginare nel breve-medio periodo le perdite derivanti dalla mancanza di flussi incoming.