“Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità”. Con queste parole del primo articolo del manifesto del futurismo pubblicato su Le Figaro il 20 febbraio del 1909, inizia, al museo Guggenheim di New York, il percorso di visita della prima vera e grande retrospettiva sul movimento culturale e artistico fondato da Filippo Tommaso Marinetti insieme a una schiera di giovani artisti, tutti italiani. Intitolata Futurismo Italiano, 1909-1944; Ricostruire l'universo, espone 300 opere, un record.

La salita a chiocciola ideata da Frank Lloyd Wright si presta perfettamente al percorso narrativo della mostra tra contraddizioni, talenti, quadri, video, oggetti di design e ceramiche. L'analisi della produzione tra Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Fortunato Depero, Antonio Sant'Elia è un viaggio senza preconcetti e pregiudizi in quello che il New York Times identifica come un movimento “che ha avuto un effetto liberatorio su tanti mezzi espressivi, spianando la strada per quella che poi fu definita poesia d'avanguardia, ma anche per la musica, l'arte della performance, il design ma anche la cultura popolare”.

L'identificazione con il fascismo ha, a lungo, bloccato ideologicamente un'analisi completa del Futurismo, soprattutto in Italia, con l'eccezione del lavoro costante svolto dal Mart di Rovereto e della Casa Depero sempre nella città trentina. Ora con questa mostra l'occasione è realmente di scoprire non solo classici pezzi da museo, ma anche veri e propri patrimoni artistici preclusi al pubblico. A cominciare dal trittico Sintesi e Comunicazione realizzato da Benedetta Cappa Marinetti, moglie del fondatore del futurismo, realizzato per il palazzo delle poste di Palermo e mai uscito da una sala riunioni, peraltro chiusa al pubblico.

Tra le sorprese più curiose anche due immagini provenienti dall'archivio del Touring Club Italiano scattate dal fotografo futurista Filippo Masoero tra il 1930 e il 1937: Veduta aerea dinamizzata del Foto romano e Scendendo su San Pietro.

“Il futurismo ha ancora i suoi segreti”, così si conclude la recensione il New York Times. Fortunatamente, molti di questi sono finalmente rivelati anche al grande pubblico. Non solo newyorchese.