La Campania somiglia a un grande teatro con al centro della scena il Vesuvio: Napoli ai suoi piedi, il Tirreno di fronte e alle sue spalle l’entroterra, a formare un’articolata cavea di cime e valli dove secoli di ruralità contadina hanno lasciato tracce profonde.
Nella nuova Guida Verde Touring dedicata alla regione tre narratori campani Franco Arminio, Lorenzo Marone e Natalino Russo - catturano la dimensione umana e quella naturale di una regione meravigliosa, esuberante, complessa, stratificata. Storia, arte, poesia, piaceri del mare e della buona cucina, ricchezze culturali e antropologiche si mescolano in un pastiche che costituisce l’essenza del Mediterraneo: ecco in successione il Golfo di Napoli con le sue isole, la penisola sorrentina, la Costiera amalfitana, il Cilento, Salerno, Caserta e il Sannio beneventano del silenzio e della luce.

La vista del Vesuvio su un sentiero del parco regionale dei monti Lattari / Getty Images

Dopo la prima digressione di Franco Arminio nelle terre sannite (a questo link l'articolo), è la volta di Lorenzo Marone, che ci accompagna in un tuffo nel profondo blu di Punta della Campanella, la parte più estrema della Campania, l’ultimo promontorio dei monti Lattari che separa il golfo di Napoli da Capri e dal golfo di Salerno.

Brezze, leggende, abbagli a Punta della Campanella
di Lorenzo Marone

C’è un posto nel quale tutto si fa quiete e gli occhi si distendono, un luogo magico popolato da delfini che piroettano nelle acque blu e da grossi capidogli che sfilano sbuffando, un piccolo spazio dove la montagna incontra il mare e i colori si uniscono a creare un’unica macchia mediterranea che odora di mirto, limoni, ulivi, ginepro e rosmarino, sentieri che discendono ripidi verso le insenature della costa modellate da un vento antico che lì si fa corrente per sostenere il volo dei gabbiani reali, del falco pellegrino e del gheppio. 
È la Punta della Campanella (nella foto, con Capri sullo sfondo), la parte più estrema della Campania, l’ultimo promontorio dei monti Lattari che separa il golfo di Napoli da Capri e dal golfo di Salerno, poche miglia a dividere due terre simili che il tempo non è riuscito a dividere del tutto. 
Qui sorge la Torre di Minerva (i Romani vi praticarono il culto della dea), costruita nel medioevo da Roberto d’Angiò per avvistare possibili scorribande dei saraceni e suonare, nel caso, l’allarme con una campana di avvertimento (da qui il nome della punta). La costruzione è raggiungibile via terra da una strada pedonale, l’antica via Minerva, appunto, dove ancor prima dei romani sorgeva il tempio greco di Athena voluto da Ulisse per ringraziare la dea che lo aveva aiutato a oltrepassare quel tratto di mare in tempesta. Da queste parti l’eroe omerico incontrò le antiche sirene cantate da Licofrone: Ligeia, Leucosia e Parthenope, le quali, incapaci di accettare il suo rifiuto ai loro soavi richiami, si suicidarono in mare trasformandosi poi in scogli che la corrente portò sulle spiagge di Paestum, Punta Licosa e Napoli. 

 

È un luogo impregnato di filosofia antica e moderna, bagnato da quel nobile Mediterraneo cantato dai greci e che oggi si è fatto grigio e tempestoso, ostile spesso nei confronti di chi cerca rifugio e una nuova vita. La brezza marina qui porta sotto il naso miti e leggende, come quella che lega il nome di Punta Campanella ad alcuni pirati sbarcati a Sorrento per trafugare la campana dalla chiesa di S. Antonino Abate, e che una volta scappati in mare furono travolti da una tempesta che affondò la loro nave.
Era il giorno di San Valentino e da allora qualcuno giura che ogni 14 febbraio dalle profondità marine risuoni il rintocco della campana rubata. Per giungere alla punta del promontorio bisogna attraversare l’antico sentiero dei Romani, lì dove sorgevano le ville patrizie oggi cancellate dal vento, che quassù non risparmia nessuno. La discesa è accompagnata da piccoli orti e uliveti, muretti a secco e ricoveri di pietra per il bivacco di pastori; il verde si staglia su uno sfondo blu di varie tonalità, perché la faglia sprofonda a circa mille metri proprio davanti alla punta. Capri è costantemente negli occhi, e il brillio del sole sul mare abbaglia la vista. 
Ulisse passò queste acque e riuscì a resistere al canto ammaliatrice delle sirene che le abitavano. Noi comuni mortali, invece, non possiamo che restare costantemente rapiti da tanta bellezza.
Punta della Campanella, l'ultimo promontorio dei monti Lattari / Getty Images
Le Guide Verdi del Touring Club Italiano possono essere considerate nuovamente pionieristiche, oltre mezzo secolo dopo la loro fondazione. Partendo dal rifiuto di ingabbiare il mondo in una lingua che lo descriva a priori, hanno aperto a un turismo a tutto campo (dall’enogastronomia stellata al cibo di strada, dal trekking al cicloturismo, dalle sagre di paese al grande cinema, alla musica, al teatro) e soprattutto allo storytelling, chiamando giornalisti e autori della narrativa contemporanea a smarcarsi dalle icone, raccontando storie, territori e città, mescolando geografia e immaginazione, autobiografia e fiction.
 
GUIDA VERDE CAMPANIA
Pagine: 312
Anno edizione: 2020