Una distesa di tetti, personaggi dall’aspetto fantastico e fiabesco e una gigantesca torre affilata che campeggia sullo sfondo. Per farsi un’idea di quale potesse essere lo stupore che Parigi provocò fin dai primi istanti nello spirito di Marc Chagall basta riscoprire gli scorci multicolori che popolano uno dei tanti quadri che il pittore ha dedicato alla Ville Lumière. Come nella gioiosa confusione di “Paris par la fenêtre” (1913) o nel paesaggio onirico di “Les Mariés de la Tour Eiffel” (1938).
Proviamo a indossare gli abiti di questo ragazzo, nato a Vitebsk da una famiglia ebraica (all’anagrafe si chiamava Moishe Segal) in una Bielorussia ancora soggetta al potere zarista, e approdato ventiquattrenne a Parigi, nel 1910. Quello che il dinamismo della festa mobile celebrata più tardi da Hemingway poté regalare a questo giovane creativo dell’Europa dell’Est fu impagabile. “L’aria libera della Francia mi entusiasmava: una tavolozza vivente per me, che vagavo tra i volti, le figure degli uomini, le nuvole, tra gli alberi e nei mercati…” avrebbe raccontato anni dopo Chagall, in un’intervista del 1953. Nonostante una passione smisurata per la capitale francese, il dramma dell’antisemitismo e dei conflitti mondiali allontanò spesso l’artista da Parigi durante la sua vita, con costanti ritorni in città nei momenti in cui gli era reso possibile.
Se come constatava Balzac, la Ville Lumière “è come un oceano di cui non conoscerete mai la profondità”, seguire un percorso tematico sulle orme di Marc Chagall potrebbe aiutarci a nuotare in questo mare di storia e tradizioni. Con un breve itinerario a lui dedicato, riscopriamo allora alcuni luoghi su cui l’artista ha impresso indelebile memoria del suo passaggio.
“LA RUCHE” E LA BOHÈME DI MONTPARNASSE
Si chiamava già “15e arrondissement” l’agglomerato urbano che per primo accolse Marc Chagall in Francia. Siamo all’estremità meridionale di Montparnasse, collegato al centro città dalle linee 12 e 13 della metropolitana, in un quartiere che a inizio Novecento aveva rubato da qualche anno a Montmartre il ruolo di centro di gravità delle novità artistiche.
Il pittore russo si lasciò alle spalle le discriminazioni autoritarie del potere zarista nei confronti delle minoranze di lingua yiddish per approdare a Parigi nel 1910. Aveva già conosciuto il post-impressionismo tra i banchi di scuola dell’Accademia Russa di Belle Arti di San Pietroburgo, ma mai Chagall si sarebbe immaginato di ritrovarsi proiettato nel bel mezzo di tanto slancio avanguardistico. “La mia arte aveva bisogno di Parigi come un albero ha bisogno di acqua” confidava l’artista, che scelse la comunità de “La Ruche” (al 2 del Passage Dantzig) per vivere quei primi istanti di frenetica esistenza. Questa piccola enclave autonoma – a pochi passi dall’odierno boulevard périphérique che segna i confini della città – era stata fondata dal ricco scultore Alfred Boucher appositamente per ospitare atelier e piccole residenze riservate a creativi di tutto il mondo. A “La Ruche” – grazie ai grandi spazi messi a disposizione e agli affitti calmierati – Chagall cominciò a farsi un nome.
All’arrivo del pittore, tra le mura de “La Ruche” (letteralmente, “l’alveare”, per la sua particolare divisione architettonica) lavoravano già diversi esponenti di quella che oggi chiamiamo “École de Paris”: un gruppo di artisti stranieri ritrovatisi nella capitale francese per esprimere liberamente il proprio stile. Personaggi come Brancusi e Soutine, Lipchitz e lo stesso Amedeo Modigliani non convenivano necessariamente sulle stesse idee culturali, ma certamente condividevano un simile fervore compositivo. Ancora oggi la comunità de “La Ruche” sopravvive grazie alla forte mobilitazione dei creatori e innovatori che la abitano, sostenuti dalla “Fondation La Ruche-Seydoux”. L’alveare apre al pubblico solo per occasioni speciali (come le “Journées Européennes du Patrimoine” e i vernissage dei residenti) ma nulla impedisce di provare a chiedere a uno degli inquilini il permesso di una breve visita.
La cupola "alveare" della cité "La Ruche", dove Chagall visse i primi tempi della sua esperienza parigina, fotoVelvet, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons
RITROVARE SÉ STESSI ALL’UFFICIO OGGETTI SMARRITI
Se non si dovesse avere fortuna a “La Ruche”, sono diverse le curiosità sparse negli immediati dintorni. Lungo la villa Santos-Dumont ad esempio si rende omaggio alle piccole case di mattoni dove abitarono tra gli altri Zadkine, Fernand Léger e il cantautore Georges Brassens. A quest’ultimo è stato intitolato il piacevole parco adiacente, installato sugli spazi dell’antico mattatoio Vaugirard: tra i vecchi padiglioni di ferro della rue Brancion si tiene un mercatino del libro durante il weekend.
Per i più curiosi, proprio al lato de “La Ruche” – al 36 di rue des Morillons – si svela l’ufficio cittadino degli oggetti smarriti, dove in più di cent’anni di attività si sono raccolti cimeli di ogni tipo dimenticati sui mezzi di trasporto dai parigini più distratti. Prima di impostare la rotta verso il centro città, merita una piccola deviazione la “Petite Ceinture du 15e”: lì dove fino al 1934 passavano i treni urbani sorge oggi un affascinante percorso verde, tra biodiversità e antichi binari ferroviari.
Sotto ai tetti del vecchio mattatoio all'interno del parco Georges Brassens nel 15e arrondissement, foto Shutterstock
SCOPRIRE CHAGALL AL CENTRE POMPIDOU
Se è al Louvre che Marc Chagall studiò dal vivo i maestri del passato (Veronese e Manet, Delacroix, Courbet e molti altri), bisogna dirigersi oggi al Centre National d’Art et de Culture Georges Pompidou per ritrovare la più grande raccolta di sue opere in Europa, riunite qui tra le collezioni del Musée National d’Art Moderne (MNAM).
Ultimato nel 1977 su progetto di Renzo Piano e Richard Rogers, il “Beaubourg” – com’è conosciuto tra i parigini più autentici – ha ribaltato la storia dell’architettura, traghettandola da una concezione di muro come elemento fisso di un edificio a elemento mobile e interscambiabile. La struttura portante e gli ascensori, le scale mobili, le tubature e i condotti elettrici: tutto è posizionato sulla superficie esterna dell’edificio. Il risultato estetico non manca ancora oggi di generare dibattiti tra chi lo considera una rivoluzione concettuale e chi invece vede solo un groviglio confuso e ammassato di linee e colori. Certo è che lo spazio interno – dedicato alle esposizioni museali – non può che trarre vantaggio dalla totale libertà di movimento garantita dall’idea progettuale di Piano e Rogers.
I quadri di Marc Chagall sono in buonissima compagnia al MNAM: Matisse e Picasso, Braque e Delaunay, Duchamp, Kandinskij e altri grandi protagonisti dell’arte novecentesca dialogano tra gli immensi spazi del Centre Pompidou. Ma è di Chagall che parliamo oggi, ed è la sua pennellata inconfondibile che proveremo brevemente a indagare nelle prossime righe.
Il Centre Pompidou, dove si conserva un'importante collezione di opere di Chagall, foto Shutterstock
COLORI ACCESI E MEMORIE DELLO SHTETL: LA POETICA DI CHAGALL
Incisore, disegnatore, illustratore, pittore, costumista, scenografo e scultore: pochi maestri del Novecento possono contare su una produzione così vasta. Precocemente influenzato dall’aggressività coloristica di Van Gogh e dei Fauves e dalle teorie cerebrali del Cubismo, l’universo chagalliano racchiude in sé forti richiami del misticismo chassidico e della cultura russa. L’amore onirico e fiabesco espresso dai suoi personaggi va a inserirsi in contesti sognanti, che riprendono motivi ed eventi direttamente recuperati dai ricordi d’infanzia dell’artista. Mai ingabbiati in una corrente avanguardistica univoca, nei quadri di Chagall oggetti e figure rimandano a precisi significati simbolici che – tuttavia – non sono mai stati spiegati esplicitamente dal creatore, che voleva che le sue immagini si considerassero per ciò che sono.
Al MNAM si conserva una imponente collezione di quadri chagalliani. Si ricordano tra gli altri “Le Nozze” (1911-1912) (link al sito del museo), dove il pittore ricompone le gioiose atmosfere di un matrimonio in un villaggio shtetl – e cioè abitato in prevalenza da comunità giudaiche. Una coppia di sposi è accompagnata da un caotico andirivieni di personaggi tipizzati (tra cui il violinista, stilema più volte riproposto), disposti lungo una linea orizzontale che divide la scena.
Un’opera decisamente più tarda, come quella intitolata “Mosè riceve le tavole della legge” (1950-1952) (link al sito del museo), rivela in modo ancor più evidente l’interesse di Chagall nei confronti delle tradizioni sacre giudaiche, mantenendo vivo il suo stile che, anche in questo caso, è complice di un surrealismo cucito su luoghi ed eventi della sua esistenza.
TROVARE IL GIAPPONE A PALAIS ROYAL
Dalle strade affollate che circondano il Centre Pompidou si può procedere tranquillamente a piedi in direzione della prossima tappa di questo itinerario, l’Opéra Garnier, attraversando alcuni dei luoghi più iconici della metropoli. Ci servirebbero intere giornate solo per esplorare degnamente questa fetta di città ma – guidati dallo spirito di Chagall verso le rombanti note del teatro dell’opera – citeremo rapidamente qualche chicca lungo il percorso.
A partire da Les Halles, il “ventre di Parigi” protagonista di un romanzo di Zola, un quartiere completamente rinnovato dove – abbattuti gli storici mercati cittadini – domina il paesaggio una struttura avveniristica sotto forma di centro commerciale. Del vecchio mercato non è rimasto quasi nulla; molto è stato invece preservato della Bourse de Commerce (1889), il cui sfarzo neoclassico campeggia ancora oggi di fronte alle nuove Halles. La Collection Pinault-Paris occupa da pochi anni gli spazi interni della borsa, ristrutturati dall’archistar giapponese Tadao Ando: assolutamente da non perdere.
Per restare in Giappone basta superare l’elegante colonnato del Palais Royal e imboccare la rue Sainte-Anne. Soprannominata “Little Tokyo” la via è popolata da diversi decenni da ristoranti e supermercati del Sol Levante: ideale per un rapido pranzo o per un picnic sulle panchine della square Louvois.
La Bourse de Commerce, che ospita oggi la Collezione Pinault-Paris, foto Shutterstock
UN’ODE COLORATA PER IL TEMPIO DELLA MUSICA COLTA
Imboccando l’avenue de l’Opéra da rue Saint-Augustin, la visuale prospettica sulla facciata dell’Opéra Garnier è mozzafiato, e siamo sicuri che tra i colpi d’occhio che maggiormente impressionarono Chagall ci sia stato anche questo. Peccato che durante molti anni la storia d’amore tra l’artista e questa città si sia dovuta interrompere: dopo la finestra 1910-1914 infatti, il travagliato trentennio delle guerre mondiali e della Rivoluzione Russa costrinse Chagall ad abbandonare ripetutamente Parigi, a volte tornando nelle terre natali, altre volte viaggiando verso altri paesi europei. Nel periodo 1941-1948 galleristi e colleghi gli offrirono protezione negli Stati Uniti, anche se il desiderio di tornare in Francia restò costante nel cuore di Chagall, specialmente in seguito all’ottenimento della cittadinanza francese e alla morte improvvisa – nel 1944 a New York – della moglie Bella Rosenfeld Chagall, sua musa ispiratrice.
Rientrato finalmente in Europa alla fine degli anni Quaranta, il pittore riprese a lavorare con rinnovata energia a numerose commesse. Sono gli anni di maggiore popolarità e affermazione per Chagall che proprio qui, all’Opéra Garnier, venne chiamato nel 1963 a completare un’opera monumentale. Già autore di scenografie, acquerelli, incisioni e vetrate dedicate al mondo della musica e al balletto, al culmine della sua carriera artistica Chagall dipinse cinque grandiosi pannelli che furono affissi al soffitto circolare della sala dell’Opéra. Oltre 220 metri quadrati di pittura mantengono ancora oggi – dopo circa sei decenni – tutta la loro modernità visiva. Tutt’intorno al lampadario di bronzo e cristallo che illumina la sala si sviluppano alcune dinamiche vicende che hanno fatto la storia della musica colta. Si celebrano i più grandi tra i grandi e le loro composizioni senza tempo: da Verdi a Mozart, da Bizet a Wagner, Mussorgsky, Berlioz e altri ancora.
Al momento della nomina, il pittore non era ancora stimato unanimemente: non pochi detrattori si dovettero ricredere quando, all’inaugurazione dell’opera, si accesero le luci in sala svelando l’aggraziato puzzle di colori e movimenti che sorvolava la platea. Un’Opéra Garnier senza la poesia di immagini ideata dall’artista russo non sarebbe oggi più concepibile, tale è il legame che si è venuto a creare tra contenuto e contenitore: una visita guidata a questo monumento dedicato alla musica e ai suoi meravigliosi scaloni e foyer è un must per la vita.
Il soffitto dell'Opéra Garnier, decorato da Marc Chagall nel 1964, foto Shutterstock
STASERA A CENA CON MARC CHAGALL
Cambiano i quartieri attraversati ma resta impareggiabile – dando seguito al nostro itinerario – la qualità di scorci e icone che Parigi sa offrire. Dall’Opéra Garnier per arrivare nei pressi del palazzo dell’Eliseo il visitatore ha l’imbarazzo della scelta. Si può ad esempio seguire il frastuono dei boulevard, che costeggiano il colonnato della chiesa della Madeleine e la cupola di Saint-Augustin, o si può fiancheggiare dolcemente la celeberrima place Vendôme, che conduce in pochi passi alle Tuileries e alla place de la Concorde. Quale sia il percorso preferito, la meta della nostra passeggiata sarà l’hotel Le Bristol Paris – Oetker Collection, in rue du Faubourg Saint-Honoré, via-santuario dell’alta moda.
Storico albergo cinque stelle della capitale, quest’albergo offre da pochi mesi la più nascosta (ed esclusiva) esperienza chagalliana della Ville Lumière, da prenotare con anticipo. In una saletta privata a lume di candela si cena in compagnia di “Les Mariés au coq”, gioiello del 1975 affisso al muro della stanza. Siamo ancora una volta davanti a una scena di matrimonio, abbellita da un blu vivace e intenso che fa da sfondo all’abbraccio tra un marito e una moglie. Un gigantesco gallo giallo (altro tema ricorrente) guida un corteo nuziale stilizzato e rimpicciolito attraverso le tipiche capanne della nativa Vitebsk: i tradizionali stilemi sono tutti presenti.
Gli ospiti degustano un menu a tre portate costruito dal tri-stellato chef Eric Frechon che dialoga con gli sposi chagalliani, per una serata costosa – certamente – ma indimenticabile.
L'entrata dello storico hotel Le Bristol, dove si "cena con Chagall", foto Shutterstock
 

La suite dell'hotel Bristol dove si cena davanti all'opera “Les Mariés au coq” di Chagall - foto Le Bristol Paris/An Oetker Collection Hotel 

LÌ, DOVE TUTTO È COMINCIATO: LA TOUR EIFFEL
“Les Mariés au coq” fa parte dell’ultima fase di produzione di Marc Chagall che – fino ai suoi ultimi anni – mantenne salda e riconoscibile la sua personale idea di arte. Il pittore russo si spense nel 1985 in Provenza, a Saint-Paul-de-Vence, dove – dopo l’istituzione della Fondazione Maeght nel 1964 – si ritrovavano spesso gli artisti d’Oltralpe.

Per rendere un ultimo omaggio all’artista – in chiusura dell’itinerario – occorre forse avvicinarsi a quella gigantesca torre affilata da cui tutto è partito, in quell’anno 1910 quando il giovane Chagall approdò nella “Città delle Luci”. La Tour Eiffel non ha certo bisogno di presentazioni: simbolo indiscusso della Francia per il mondo intero, il pittore la scelse ripetutamente come soggetto delle sue opere.
Dalla fermata Miromesnil della metropolitana 9 – alle spalle dell’hotel Bristol – si arriva comodamente sui terrazzamenti scoscesi del Trocadéro, ideale punto panoramico sulla “Dama di ferro”. Se tra le raffiche di vento – saliti in cima alla Tour Eiffel – vedremo planare sulla città una coppia di giovani amanti – magari accompagnati da qualche sovradimensionato animale domestico – vorrà dire che il sogno di Chagall e Parigi sarà diventato anche il nostro.
La Tour Eiffel, ripresa e rappresentata in molteplici occasioni nelle opere di Marc Chagall, foto Shutterstock
INFORMAZIONI
Per visitare i luoghi citati nell'itinerario riportiamo alcune informazioni:
- Attività ed esposizioni della Fondation La Ruche-Seydoux
- Sito ufficiale del Centre Pompidou
- Sito ufficiale della Collezione Pinault-Paris alla Bourse de Commerce
​- Visite guidate dell'Opéra Garnier
- Informazioni per l'esperienza "cena con Chagall" all'hotel Le Bristol
- Per vivere al meglio Parigi, si consigliano la Guida Verde Touring Parigi (2016) e la Guida Le Routard Parigi (2020) nella versione in italiano da acquistare nei Punti Touring o sul nostro store online. Tra gli altri prodotti disponibili, si suggeriscono anche la pianta Touring del centro città, e la guida Touring City+Map (2020).