Negli ultimi anni s’è parlato molto delle miniere del Sulcis-Iglesiente. Nel bene e nel male: il riconoscimento Unesco (ormai datato 1997) aveva portato visibilità a una zona - quella del sudovest della Sardegna - da sempre poco valorizzata, eppure tra le più interessanti dell’isola; il parco geominerario – splendida idea che avrebbe potuto far da volano a tutta la regione – sembrava la grande opportunità per mettere in rete strutture e competenze, ma poi almeno in parte s’è arenato dietro difficoltà burocratiche e carenze varie. Il rischio naturalmente è che tutte le altre attrattive della zona rimangano in ombra. Così, per una volta, invece che parlare di Buggerru e Porto Flavia o di farvi vedere i mattoni della laveria Lamarmora a Nebida, vogliamo provare a darvi una prospettiva differente del Sulcis. Anche perché i motivi di interesse certo non mancano, specialmente per un itinerario on the road, da provare anche fuori stagione.
AUTO A CAGLIARI E VIA VERSO IL SULCIS
Noleggiando la macchina all'aeroporto di Cagliari, si prende la superstrada che collega Cagliari a Iglesias e poi a Siliqua si volta verso sud, percorrendo la lunga, bella e tortuosa strada provinciale 293 che si inoltra tra rocce rosse e macchia mediterranea. Arrivati a Nuxis, uno dei primi paesi della provincia, si può deviare verso la chiesetta bizantina di S. Elia, persa in mezzo alla vegetazione: anche se piuttosto rimaneggiata rispetto alla struttura originaria, è suggestiva per la sua posizione isolata e la piccola pianta a croce. Poco oltre, si gira verso Villaperuccio e la necropoli di Montessu, la prima, vera attrazione dell’area.
Se avete già visto qualche domus de janas in giro per la Sardegna, qui rimarrete stupiti di fronte al numero e alla grandezza del complesso, oltre che per il contesto ambientale davvero splendido, tra grandi cespugli e alberi di ulivo. Montessu ospita più “case delle fate” di qualsiasi altro sito sardo, alcune delle quali con una zona sacra antistante che forse serviva per lasciare il corpo del defunto alla mercé dei grifoni e dei corvi; ma uniche sono soprattutto le grandi tombe santuario, risalenti anch’esse a un’epoca prenuragica, che avevano la stessa funzione che oggi ha una chiesa. Poi arrivarono i nuragici e trasformarono le tombe in case: si parla di 2000 avanti Cristo, ben prima di etruschi e romani.
GUIDANDO TRA LE VIGNE
Poco lontano, a Santadi e Giba, si inizia a sentire profumo di vino. Questa è la terra del carignano del Sulcis, doc ancora poco conosciuta ma davvero eccellente: provatelo, questo rosso intenso e profumato, e vedrete che non ha nulla da temere rispetto a nomi più blasonati della penisola. Sono poche le cantine che lo producono – si va dal piccolo appezzamento coltivato per passione alla grande cooperativa che riunisce centinaia di soci.
Il carignano è fortemente legato al territorio e i sulcitani, giustamente, se lo tengono stretto: il vitigno è tra i pochi che crescono su suoli sabbiosi e alcuni ceppi non hanno mai risentito della fillossera, forse gli unici al mondo a resistere alla bestiaccia americana che rischiò di far scomparire la vite dalla faccia della Terra. Per saperne di più, il miglior modo è visitare una delle cantine, per esempio quella sociale di Santadi o quella di Gavino Sanna (la Mesa) nei dintorni di Sant’Anna Arresi. Oltre che, ovviamente, bere un bicchiere di carignano a tavola.
LE DUNE DI PORTO PINO
Oltre Giba, una deviazione è d’obbligo verso sud, per raggiungere la spiaggia più spettacolare della provincia, quella di Porto Pino, nel comune di Sant’Anna Arresi. Sembra di essere contemporaneamente in Sardegna e in Africa: le dune bianchissime fanno pensare a scenari esotici, il colore del mare riporta a latitudini nostrane. O meglio, sarde: probabilmente non c’è altro luogo che può vantare un azzurro del genere! Dopo aver camminato a lungo sulla sabbia ed essersi rilassati nell’acqua trasparente, almeno nella bella stagione, si riparte verso nord.
Una decina di chilometri e si è a Tratalias, dove è d’obbligo una sosta per vivere una storia del tutto particolare. Anni fa – era il 1954 – uno sbarramento artificiale sul rio Palmas causò problemi a vari paesi del circondario: per infiltrazioni d’acqua nel terreno, le fondazioni delle case erano messe a rischio. A un certo punto Tratalias dovette essere trasferito in altro sito. Oggi il paese abbandonato (e mai crollato) è stato recuperato: le casette monofamiliari intonacate di giallo e rosa, il palazzo padronale (chiamato la casa spagnola) ben restaurato, numerosi spazi adibiti a mostre, laboratori per ragazzi e atelier. Ma a splendere è soprattutto la cattedrale di Santa Maria di Monserrat, edificata nel Duecento: una di quelle chiesette romaniche di cui ci s’innamora subito, colpiti dalla trachite chiara, dall’armonia dell’interno, da qualche particolare originale come le scalette sulla facciata esterna e interna, tanti gradini che non portano in nessun luogo (forse un’indicazione su come raggiungere il Paradiso?).
A SANT'ANTIOCO PER MUSEI E SPIAGGE
Lasciata Tratalias, si può proseguire verso la moderna Carbonia, con il suo interessante retaggio di architettura fascista; e poi visitare il borgo contadino di Is Loccis Santus, oggi trasformato in un hotel del tutto particolare: Antonello Steri ha recuperato gli edifici utilizzando tecniche e materiali antichi, arredandoli poi con oggetti d’epoca, dal letto all’interruttore della luce. Da qui il viaggio verso S. Antioco, spesso ingiustamente trascurata, è davvero breve. Il fiore all’occhiello è il museo archeologico Ferruccio Barreca, il cui nuovo allestimento è stato inaugurato recentemente: ad attendervi, la storia fenicia, punica e romana dell’antica Sulky, probabilmente il centro urbano più grande dell’antichità sarda, con i suoi tesori e i suoi misteri.
Plastici, ricostruzioni, videoproiezioni, allestimenti vi guideranno attraverso reperti sorprendenti, come gli enormi leoni in pietra calcarea e le urne rinvenute nel tofet adiacente, luogo di cremazione per i bambini morti in tenera età. Ma non fermatevi qui: fatevi accompagnare dalle guide della cooperativa Archeotur e proseguite verso il villaggio ipogeo e il museo etnografico, dove imparerete che cos’è il bisso e come vivevano gli abitanti della cittadina fino a non molti anni fa. Sarà da mettere in conto una mezza giornata, tante sono le cose da vedere. Per un po’ di mare e di profumi mediterranei, l’isola è a vostra disposizione: specialmente se viaggiate fuori stagione (a settembre l’acqua è ancora calda e non c’è in giro nessuno), i punti dove fermarsi in completa solitudine sono davvero tanti. A noi ha lasciato a bocca aperta Cala Lunga, a metà della costa occidentale dell’isola, con il suo lungo fiordo e le scogliere che si gettano nel mare blu; ma se siete in famiglia, niente di meglio che le sabbie di Maladroxia o di Spiaggia Grande, quest’ultima appena fuori Calasetta, il secondo Comune dell’isola. 
VERSO SAN PIETRO
Proprio a Calasetta ci si imbarca per l’ultima tappa del nostro itinerario, l’isola di San Pietro. Ora, qui vogliamo tralasciare tutte le storie legate al tonno e alla sua tradizione; e invece consigliarvi di uscire da Caloforte e dirigervi verso capo Sandalo, un tripudio di macchia mediterranea e di rocce a picco sul mare dove nel 2011 è stata creata un’oasi di protezione faunistica, affidata alla Provincia di Carbonia-Iglesias, che a sua volta ha stipulato una convenzione con il Comune di Carloforte e la Lipu. Un luogo affascinante, dove meditare su un masso granitico o camminare sui sentieri predisposti dall’associazione: il centro visite è aperto per ogni informazione.
La star qui sono i falchi della regina, bellissimi rapaci che nidificano sulle scogliere delle piccole isole mediterranee, così chiamati in onore della giudichessa Eleonora d’Arborea, che nel Medioevo dichiarò protetti tutti i falchi. Il momento migliore per ammirarne le evoluzioni è la fine dell’estate, tra settembre e ottobre, quando i piccoli rapaci cacciano gli uccelli migratori diretti verso l’Africa e si esibiscono in spettacolari evoluzioni. Anche i falchi migrano poi, non appena arrivano i primi freddi, in compagnia dei piccoli appena svezzati. Destinazione: il lontano Madagascar. Nella riserva si ammirano anche falchi pellegrini, corvi imperiali e cormorani dal ciuffo; ma anche chi non è un birdwatcher rimane affascinato dalla wilderness del luogo, per dirla con una parola inglese che ben esprime il concetto di selvaggio. Capo Sandalo è davvero una degna conclusione del nostro itinerario sulcitano.     
INFORMAZIONI
Per i musei di Sant’Antioco, cooperativa Archeotur, tel. 0781.800596; www.archeotur.it. Per la visita di Tratalias, tel. 0781.688046; www.comune.tratalias.ca.it. Per l’area di Montessu, tel. 0781.806077; sito del parco geominerario