Luca Zironi e Francesca Schintu, due appassionati cicloturisti: laurea in filosofia lui, laurea in architettura e dottorato in storia dell'architettura lei, amano esplorare l'Italia percorrendo le principali ciclabili sparse sul territorio, cercando di lasciare qualche resoconto scritto, per fare un po' di "proselitismo alla causa". Seguite le loro tracce! 
Se chiedi in giro ognuno ha la sua Vandelli. C’è chi dice che passa per il ponte del Diavolo. Chi per le cascate del Bucamante. Chi la confonde con la Bibulca romana e ti manda a Frassinoro. Persino al passo della Tambura, quando pensi di essere ormai in fondo, trovi qualcuno benevolmente pronto a correggerti, suggerendoti un’altra via. Ma la Vandelli è una soltanto: quella che Giulio Ferrari, con rigore storico-scientifico, ha studiato, ripercorso e ricostruito nella sua ottima guida. In veste di autostrada del Settecento, la Vandelli non se ne va per boschi in cerca di luoghi ameni. Va dritto per dritto, ma è tutto meno che dritta.
Correva l’anno 1737, quando il novello duca di Modena e Reggio, Francesco III d’Este, si prodigava per ritagliare ai suoi domini un accesso diretto al mare, essenziale per coronare le sue ambizioni commerciali e militari. Peccato che al tempo i più agevoli sbocchi sull’Adriatico fossero già territori dello Stato Pontificio e anche i confini sul Tirreno risultassero sotto il controllo di altri sovrani. Ma come nelle trame più intricate, Francesco III non si lascia sfuggire l’occasione ghiotta di un matrimonio combinato tra il figlio Ercole e Maria Teresa Cybo Malaspina, erede del ducato di Massa e Carrara.
L’AUTOSTRADA APPENNINICA DEL ‘700
Il gioco è così fatto: il ducato di Modena conquista una minuscola ma preziosissima finestra sul mare tra il granducato di Toscana, la repubblica di Lucca e quella di Genova. Questo è il momento in cui entra in scena il vero protagonista del racconto, l’abate Domenico Vandelli, l’uomo incaricato di costruire una strada avveniristica (che porterà il suo nome), in grado di ricoprire dislivelli impressionanti, superando gli Appennini prima e le Alpi Apuane poi. Una strada come non se ne progettavano dai tempi dell’impero romano, dotata di ogni genere di infrastruttura per i viaggiatori (osterie e alberghi) e per i cavalli (cambio e abbeveraggio); completa di stazioni di posta, piazzole per caricare e scaricare le merci, posti di guardia per scoraggiare le incursioni dei briganti. E doveva essere abbastanza larga da permettere il passaggio di carrozze, carri e calessi, perché anche i duchi non disdegnavano l’idea di percorrerla per tutti i suoi 140 km (e oltre) da Modena sino a Massa.
Fortunatamente il Vandelli oltre che abate era anche un brillante ingegnere, architetto, geografo e matematico, già distintosi presso la corte del duca per i suoi lavori e, nel giro di 14 anni (dal 1738 al 1752), riesce a portare a termine un’impresa a dir poco ardita, inventandosi per l’occasione una cosina da niente come le linee di livello (le isoipsae Vandellis, appunto).

La Selva Romanesca / foto Zironi
TAPPA 1 - DA PAVULLO A LA FABBRICA (PIEVEPELAGO)
Desiderosi di omaggiare l’opera dell’insigne ingegnere e blanditi dalle promesse di panorami irripetibili, ci imbarchiamo in un’avventura che si preannuncia decisamente audace. Poiché nel primo tratto, tra Modena, San Dalmazio e Montecenere, il tracciato settecentesco è sepolto dalla trafficatissima via Giardini, decidiamo di partire da Pavullo. Da qui in poi il selciato originale della Vandelli diventa sempre più visibile, prepotente, duro. Pietre grigie posate a secco. Il nostro coccige le conoscerà tutte per nome e cognome.
All’altezza delle Piane di Mocogno, la via diventa una carraia fresca e ombrosa attraverso il bosco. Poco oltre, dopo il passo delle Cento Croci, si percorre un tratto soleggiato e larghissimo. Verrebbe da pensare a due carrozze per senso di marcia, a degli spazi di sosta e manovra. Il cippo dedicato al partigiano Celeste Guidoboni, caduto nel 1944, accende doverosamente la memoria sull’eroica Resistenza lungo la linea Gotica.
Nonostante il “moderno” tetto in lamiera, un piccolo edificio con facciata a gradoni, dietro cui si staglia il possente monte Cimone, rimanda ai trascorsi celtici di queste lande. Le cosiddette “capanne celtiche”, con la caratteristica copertura pensata per favorire lo scioglimento delle nevi, sono un unicum in Italia, un’esclusiva del Frignano. Ed ecco finalmente una lapide in onore di Domenico Vandelli, in località La Fabbrica (Pievepelago), dove sorgeva una delle stazioni più importanti del percorso.
L’edificio, oggi proprietà privata, ospitava nientemeno che la stanza del duca. Rivoli di acqua ghiacciata scendono dalla montagna e riempiono due grosse vasche. La via ci sfida e ci disseta. Antichi fabbricati allo stato di rudere compaiono all’improvviso nel bel mezzo del verde mentre scendiamo speditamente verso via Radici (Sant’Anna Pelago), a conclusione di questa prima giornata. Dopo 40 Km e 1500 metri di dislivello, troviamo dimora presso l’albergo-ristorante Acque Chiare, cui affidiamo l’arduo compito di rifocillarci e restaurarci. All’oste Claudio, che qualcuno arrivi in bicicletta perché vuole percorrere la Vandelli sino a Massa, sembra la cosa più normale al mondo. E infatti ci racconta di un gruppo molto affiatato di escursionisti sessantacinquenni che qualche settimana prima ha sostato lì con lo stesso proposito.
Claudio riserva agli ospiti quella generosa accoglienza tipica delle genti di montagna e dispensa consigli su dove trovare i funghi migliori, i tartufi più profumati e le ultime salamandre. Di notte, tutto intorno all’albergo, le lucciole accendono i prati e il silenzio avvolge il nostro sonno profondo, senza sogni.
Cà Guerri, capanna celtica, sullo sfondo il Monte Cimone / foto Zironi
TAPPA 2 – DA LA FABBRICA A VAGLI DI SOTTO, MODALITA’ CICLOTURISMO
La scalata verso il passo del Lagadello è poco pedalabile. Se è poco pedalabile, allora è lenta. Sulla lentezza dei malcapitati viaggiatori che si avventurano nell’intrico della Selva Romanesca fanno affidamento le temute zanzare-elicottero, della cui ferocia ci aveva già messo in guardia il libro di Giulio Ferrari.
Sconfiniamo in Toscana a 1525 metri di altitudine, quota del borgo appenninico più alto d’Italia, San Pellegrino in Alpe, letteralmente diviso tra la provincia di Modena (di cui rappresenta un’exclave) e quella di Lucca: crocevia rumoroso e molto frequentato, specie dai motociclisti, ma anche luogo di silenzio e preghiera perché legato al santuario che custodisce i corpi mummificati dei santi Pellegrino e Bianco. Una vorticosa discesa sulla provinciale e qualche divertente incursione off-road ci conducono a Campori, piccola località nel comune di Castiglione di Garfagnana, che per soli tre voti non ebbe un suo papa (conclave del 1621).
Da qui in poi la Vandelli svela il suo lato cicloturistico, attraverso alcuni dei paesi più noti della Garfagnana. A Poggio di Camporgiano si riprende nuovamente la via dei boschi con una discesa molto flow lungo il torrente Edron, di cui cambiamo due volte sponda: prima con un semplice guado, poi con una passerella in legno presso un’area picnic. Incontriamo i primi grandi stabilimenti per l’estrazione del celebre marmo delle Apuane quando, improvvisamente, la Vandelli si arrampica con un’erta in asfalto verso Vergaia.
Cerchiamo di starle dietro, ma quando arriviamo al lago di Vagli la strada è sommersa. Sparita. Nel 1947 gli abitanti di Fabbriche di Careggine furono costretti a lasciare le loro case, edificate proprio sulla vallata scelta per accogliere il nuovo bacino artificiale che avrebbe garantito riserve d’acqua per tutta la zona. Alla via Vandelli, che attraversava in pieno questo borgo medievale, spettava la stessa sorte. L’idea che sotto quel manto smeraldo riposi un paese fantasma riempie l’aria di mistero. Solo in occasione dei lavori di manutenzione della diga, quando l’invaso viene svuotato completamente, l’abitato riemerge in superficie. Ma ciò non accade da più di vent’anni. Per chi è in cerca di nuove prospettive, il Vagli Park offre comunque un’adrenalinica zip-line sospesa sull’acqua e un ponte tibetano su funi d’acciaio che collega le due sponde del lago. Da ogni parte la vista è monumentale.
Parcheggiamo le biciclette per infilarci tra i suggestivi vicoli di Vagli di Sotto, il borgo costruito sul promontorio del lago per ospitare gli sfollati di Fabbriche. Poi, finalmente, ci rintaniamo nel bell’appartamento che la signora Moira ha preparato per noi. Il sole tramonta su questi 45 Km e 1200 metri di dislivello. Domani è il grande giorno.
Vagli di sotto / foto Zironi
TAPPA 3 – DA VAGLI DI SOTTO A MASSA, PASSIONE MTB
Partiamo appena dopo l’alba. Per l’occasione è necessario indossare una maglia speciale, quella del gruppo Google+ Passione MTB. Maglia freeride, maniche a tre quarti, stile aggressivo garbato. Nota per i suoi superpoteri. La strada si impenna subito, ma l’asfalto consente di compiere ampi zig-zag, utilissimi a preservare le gambe. Il silenzio della valle è rotto dagli inquietanti latrati di alcuni cani. Per fortuna è solo una battuta di caccia al cinghiale. Mentre ammiriamo la perfetta armonia con cui un piccolo edificio pastorale, la capanna d’abrì, si integra con l’enorme masso erratico al quale è stata addossata, veniamo superati da diverse automobili cariche di escursionisti già belli pimpanti, proprio all’inizio della valle di Arnetola. La strada ora si trasforma in una carraia bianca. Più che bianca, fulgida. La via sale vorticosa ma è ancora pedalabile, almeno fino a quando alcuni strappi ci mettono k.o. Imploriamo rifugio al fresco di una cava di marmo, il marmo universalmente più pregiato, quello per antonomasia: il bianco di Carrara, la pietra di Luni degli antichi romani (poiché dopo l’estrazione veniva imbarcata nel porto fluviale della città di Luni). Lo stesso materiale con cui si sono misurati i più grandi scultori di tutti i tempi, Michelangelo compreso, che veniva a scegliersi personalmente i blocchi migliori.
La carraia si stringe fino a diventare il sentiero CAI n. 35. Bici a spinta, sino a su, per un paio d’ore. Per lo meno non dobbiamo portarle in spalla. In cima c’è una squadra del soccorso alpino e, per un attimo, pensiamo stiano aspettando proprio noi. Forse si è sparsa la voce che alcuni biker dal fisico poco credibile stanno tendando la scalata del monte Tambura e la macchina dei soccorsi si è già messa in moto. Invece sono lì a sorvegliare il Trail delle Apuane (una gara di ultrarunning) e ci infondono una bella dose di grinta e di preziosi consigli. Soprattutto ci dicono di guardare là.
E là c’è il mare. Laggiù in fondo. Come sprofondato in un’enorme voragine, dove si mescola nello stesso orizzonte del cielo. Lo sguardo riesce ad afferrare persino la sagoma di qualche isola. La città di Massa deve trovarsi lì, in mezzo a quella costellazione di agglomerati urbani che affollano le valli tra le alpi e il mare.
Selciato originale della Vandelli verso il passo della Tambura / foto Zironi
LA FINESTRA VANDELLI E LA RICERCA DELL’EQUILIBRIO
Subito dopo il passo della Tambura si raggiunge la cosiddetta Finestra Vandelli (1442 m s.l.m.), un’ampia spianata artificiale ottenuta facendo saltare un pezzo di montagna con le mine. Qui l’ingegnere, senza andare troppo per il sottile, aveva previsto un’area di sosta per le carrozze, una specie di autogrill settecentesco. Con tutta probabilità doveva essere presente anche un grande Casone, un albergo che offriva vitto e alloggio ai viandanti, mettendoli al sicuro dalle insidie notturne. Che il brigantaggio fosse uno dei pericoli principali sulla Vandelli (insieme alla neve, alle valanghe e alle forti pendenze), è evidente dai fori dei pali dove venivano giustiziati i malfattori, ancora riconoscibili in alcuni tratti montani (verso Resceto). Si perché il duca, nel tentativo di arginare questa sconveniente minaccia, introdusse la pena di morte per i banditi garfagnini.
Il compito di rifocillare i viandanti è oggi affidato al rifugio Nello Conti ai Campaniletti, dal nome delle aspre guglie rocciose che lo preannunciano. Ci sembra che il peggio sia passato. Il cimento maggiore è superato. Il programma prevede ora una grandiosa discesa a tutta birra fino a Resceto, nel tratto più spettacolare della Vandelli. Peccato che la via sia troppo esposta. Ogni tornante sembra buttarti fuori, giù dalla scarpata. Ci torna alla mente l’antica leggenda locale dell’uomo avvolto nel tabarro nero, pronto a scaraventare chiunque incontri giù dai burroni della Tambura. La massicciata è incoerente, mobile. Frenare è pericoloso, non frenare è da pazzi. Bisogna trovare un equilibrio. Un equilibrio interiore. Sentirsi tutt’uno con la via.
A Resceto la Vandelli è una strada provinciale come tante, ma ancora in grado di elargire angoli incantevoli. Come quelle finestre che si affacciano sulle acque gelide, cristalline e super affollate del torrente Renara. Arriviamo infine alla stazione dei treni di Massa, per chiudere quest’ultima giornata con 30 durissimi Km e 1500 metri di dislivello. Non prima, però, di un tuffo catartico a Marina di Carrara.
Passo della Tambura / foto Zironi
EPILOGO. LA VIA VANDELLI, ESPERIENZA ESCURSIONISTICA “TOTALE”
Sono passati tre giorni. Sembrano tre anni. Se certi viaggi ti cambiano dentro, la Vandelli è senza dubbio uno di questi. È incredibile pensare che un progetto futuristico sia diventato obsoleto nel giro di pochi decenni, complici le enormi difficoltà manutentive e le continue insidie che minacciavano i mercanti. Ma soprattutto per lo spostamento degli interessi commerciali lungo altre strade, come la ben più comoda via granducale tra Firenze e Bologna. Anche se la parabola di questa moderna carrozzabile del Settecento è stata piuttosto breve, oggi rappresenta un itinerario ciclo-escursionistico di grande successo, grazie anche all’imponente lavoro di restauro portato avanti dal Parco Regionale delle Alpi Apuane.
Rimane inoltre un patrimonio indiscusso delle genti dell’Appennino “che divisero ingegno e fatiche” per completare un’opera straordinaria, degna figlia dell’Illuminismo. A quei biker abituati a vivere queste montagne a spot, nei raduni o nelle uscite domenicali, consigliamo la Vandelli come esperienza totale dell’Appenino Tosco-Emiliano. Certo rimane un itinerario per biker esperti. O per amatori molto prudenti, con tanta voglia di scendere, risalire e spingere. Per tutti quelli che amano camminare, comunque, la via è aperta.
Ultimi tratti della discesa verso Resceto / foto Zironi
INFORMAZIONI E WEB
Dati della tratta Pavullo-Massa della via Vandelli:
Lunghezza: 121,60 km
Dislivello: 4.114 mt
Fondo: pietre e sassi 50%, terra 30%, asfalto 20%
Pedalabilità salite: 90% (biker esperti), 70% (biker intermedi)
Pedalabilità discese: 100% (biker esperti), 80% (biker intermedi)
- La Via Vandelli è raccontata nel sito ufficiale viavandelli.com
- Scopri il Parco delle Apuane sul sito ufficiale parcapuane.it
- La Garfagnana in dettaglio sul sito turismo.garfagnana.eu

- Solo per gli utenti registrati a questo sito, ecco la traccia GPX fornita da Luca Zironi. Buone pedalate!

La mappa della via Vandelli / foto Zironi