Terra di foreste fitte, valli impervie, natura primordiale, faggete e abetaie, cervi e lupi. Terra di eremi e pievi, di eremiti e profeti, di torri e castelli. Pare impossibile che, a pochi chilometri da Firenze e da Arezzo, “intra Tevere e Arno” come scrive Dante (Paradiso, XI, 106), esista un angolo di Italia come il Parco nazionale delle Foreste casentinesi, Monte Falterona e Campigna, così vergine, così remoto, così geograficamente, spiritualmente e naturalisticamente lontano dalla civiltà contemporanea. Montagne e boschi che sembrano fatti apposta per perdersi e poi ritrovarsi, per fuggire in cerca di pace e di silenzio, e poi scoprirsi a desiderare di sentire il bramito di un cervo, l'ululato di un lupo, il rintocco di una campana.
Chi vuole, nell'alto Casentino, può ritrovare il suo Monte Athos, il suo Tibet, la sua Alaska. O il suo Vermont, se vi arriva tra la fine di ottobre e i primi di novembre, quando ogni anno le faggete si accendono in un esaltante foliage multicolore, con tutte le sfumature del giallo, del rosso, del verde, dell'arancione. “Merito” soprattutto del fatto che l'Appennino tosco-romagnolo, posto a cavallo tra area mediterranea e area europea, consente un'eccezionale biodiversità, “mixando” ben 40 specie di alberi differenti, assai più che in qualsiasi altra foresta della penisola.
Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna

IL FOLIAGE AUTUNNALE
Accade così che la tavolozza dorata dei faggi, che dominano nella fascia montana fra gli 800 e i 1500 metri, risulti cromaticamente arricchita dalla compresenza sia dei sempreverdi abeti bianchi sia di latifoglie decidue altrimenti rare sull'Appennino, come aceri, olmi, tigli e frassini, le cui cellule fogliari a loro volta accendono il bosco autunnale con il giallo della xantofilla e l'arancione del carotene. Meno spettacolari ma ugualmente piacevolissimi sono poi i “quadri” dipinti da querce e carpini alle fasce collinari, fra i 500 e gli 800 metri.

Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna 

Chi conosce e frequenta il Parco nazionale (istituito nel 1993 su circa 36.843 ettari equamente divisi fra Romagna e Toscana) sa però che vi sono luoghi che garantiscono di ammirare quadri particolarmente ampi e colorati. Su tutti, emerge la vetta del Monte Penna, sopra la Foresta della Lama, raggiungibile dal passo dei Fangacci, lungo la strada che collega Badia Prataglia all'eremo di Camaldoli.
Emozioni simili si possono vivere poi nella Foresta di Campigna, verso il Passo della Calla, per la mulattiera Granducale e il sentiero della Fonte del Raggio. Oppure percorrendo il sentiero ad anello che circonda il masso e il santuario della Verna tanto caro a san Francesco, in un bosco monumentale ribattezzato non a caso “bosco delle fate”: qui camminare fra giganteschi faggi e rocce ricoperte di muschio è un'esperienza quasi irreale.
Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna - foto F. Bardi

SASSO FRATINO, LA RISERVA INTEGRALE
A ogni mese dell'anno, in ogni caso, vale la pena di salire nel parco nazionale a scoprire, a piedi e anche in mountain bike, i 730 chilometri di quello che, oltre a essere il più colorato complesso forestale italiano, è anche il più intatto, più vario e più vasto. Un immenso orto botanico, tanto grande e fitto che al suo centro esiste una “core area” di 764 ettari mai toccati dalla mano dell'uomo e totalmente off limits, per chiunque tranne qualche studioso autorizzato: la riserva naturale di Sasso Fratino, istituita nel 1959, la prima in Italia a tutela integrale. Un vero archetipo di “foresta vetusta”, tanto che dal luglio 2017 è stata inserita dall'Unesco nel Patrimonio Mondiale dell'Umanità.
 
Non pensate che Sasso Fratino prenda il nome da un qualche fraticello perdutosi mentre cercava di raggiungere san Francesco nel suo isolamento alla Verna, il famoso eremo che sta proprio al limite del Parco nazionale. “Fratino” sta nel senso di “fratto”, dal latino frangere, e rimanda ai sassi rotti e franati in questi canaloni impervi e ripidi, ai massi che hanno divelto i tronchi con formidabili frane, precipitando su 900 metri di dislivello. La sua integrità (che si allarga ai settemila ettari della “buffer area”, l'area cuscinetto della riserva integrale) si deve al fatto che sin dal Medioevo questi dirupi erano troppo inaccessibili per salirvi a tagliare alberi e portarli a valle.

Firenze, che dal Trecento aveva acquistato dai conti Guidi le foreste casentinesi e le aveva affidate all'Opera di Santa Maria del Fiore, si accontentò, si fa per dire, dell'ottimo legname delle foreste circostanti. Dopo la pericolosa impresa di farlo fluitare lungo l'Arno, arrivava a Firenze dove si trasformava in travature e ponteggi, andando a sostenere anche la cupola di Santa Maria Novella. Oppure proseguiva sino a Pisa e al mare, per poi essere imbarcato verso i porti toscani e liguri, romani e francesi. Tutti i cantieri navali infatti volevano i tronchi di abete bianco casentinese che, dritti come fusi, potevano trasformarsi in fantastici alberi maestri. Abeti bianchi la cui coltivazione era stata avviata con grande successo nel medioevo dai monaci benedettini di Camaldoli.

Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna

IL FASCINO DI CAMALDOLI
In quei secoli, si sa, i monaci benedettini salvarono e tramandarono la cultura occidentale. Quelli insediatisi a Camaldoli, per volere del grande riformatore san Romualdo, affascinato dalla solitudine dell'Appennino tosco-romagnolo, preservarono anche la natura e il paesaggio. Avuta in dono da un benefattore nel 1012 la foresta di Camaldoli (“campus amabilis”, secondo la tradizione), ne fecero una meraviglia. Un patrimonio ecologico rimasto intatto anche dopo le espropriazioni dei beni religiosi imposte nel 1866 da uno Stato italiano fortemente anticlericale.
Oggi sia il monastero sia l'eremo di Camaldoli, l'uno a quota 810 metri l'altro a quota 1104, conservano un fascino un po' misterioso, sperduti nel mezzo di fustaie altissime, come provenienti da altre epoche.
 
Camaldoli, Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna - foto Wikipedia Commons

NEL PARCO, IL CENTRO VISITE E LA FAUNA
Ma se, abetaie a parte, anche le faggete casentinesi sono sopravvissute alle smanie disboscatrici di pastori e agricoltori è stato grazie anche a Leopoldo II, il granduca di Toscana che nel 1835 fece arrivare dalla Boemia il geniale ingegnere forestale Karl Simon, colui che avrebbe tutelato e riorganizzato come meglio non si poteva l'immenso patrimonio boschivo, poi dal 1915 acquisito dallo Stato italiano. La storia di “Carlo Siemoni” (come lo ribattezzarono i toscani) rivive, unitamente a un bel lupo in vetrina, nel Centro visite del Parco, a Badia Prataglia: farvi un giro è un'utile introduzione prima di avviarsi per i boschi e sentieri del versante toscano, più dolce, addomesticato e accessibile, e avendo tempo spingendosi anche sul lato romagnolo, ripido, aspro e disabitato.

Infinite le possibilità, che possono portare a scoprire le tante cascate e il lago di Ridracoli, l'enorme castagno Miraglia o il belvedere del monte Penna. O a dedicarsi all'avvistamento delle tante e anche rare specie faunistiche presenti. Per esempio, nel Parco nazionale dal 1993 veniva monitorata un'unica coppia di aquile reali, finché nel 2016 è avvenuto un evento straordinario per la zona e di assoluta rarità su tutto l'Appennino: la coppia ha nidificato su un abete alto 35 metri, nella riserva integrale di Sasso Fratino, portando all'involo di due giovani aquile. Nel parco è arrivata di recente anche un'altra giovane aquila reale, che era stata ferita da un bracconiere nelle Marche, poi curata e liberata con un Gps in grado di monitorare i suoi spostamenti. Dal 2000 il parco ha visto anche il ritorno del picchio nero, di cui non si avevano notizie dal 1801 (!). Sono in atto progetti per ricreare ambienti umidi per piccoli anfibi come l'ululone appenninico, la salamandrina di Savi e il tritone crestato. E una ghiacciaia del 1834 è stata adibita a centro di allevamento dello scarabeo eremita odoroso.

Eremo della Verna, parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna

I CERVI E I LUPI: CENSIMENTI E ULULATI
Progetti importanti, anche se gli anfibi e i coleotteri a rischio estinzione certamente non eccitano il grande pubblico quanto i cervi e i lupi. Che sono una delle ragioni per cui a ogni stagione, dalle fioriture estive alle epiche nevicate invernali, vale la pena di avventurarsi nel Parco. Una di queste occasioni è, alla fine di settembre, aggregarsi alle centinaia di volontari che dal 2008 partecipano al “Conteggio del cervo al bramito”, il più grande evento di gestione faunistica partecipata in Italia. Per un paio di serate consecutive circa 500 volontari si distribuiscono, a coppie, fino agli angoli più remoti dei 36mila ettari del Parco.

Nel buio e in silenzio, per tre ore con le orecchie tese, si prova a contare gli impressionanti bramiti emessi dai cervi maschi durante la stagione degli amori. II metodo, “brevettato” in loco e impostosi anche all’estero come “Casentinese”, tende a censire il numero di maschi di cervo nobile (Cervus elaphus) presenti nel Parco, e da questo dedurre l'ampiezza della popolazione complessiva, stimata attualmente sui duemila esemplari, femmine e piccoli compresi. Calcolo altrimenti impossibile da fare visivamente, in un'area forestale tanto ampia, fitta e impervia.
 

Le serate si concludono con il wolf howling: per due volte, da alcuni altoparlanti vengono emessi ululati di lupo, registrati e amplificati. Una risposta attesta la presenza di lupi in quella zona del parco. Il wolf howling peraltro negli ultimi anni ha avuto un notevole successo, attirando molti appassionati e spingendo il Parco a formare 25 guide ufficiali negli ultimi tre anni. La presenza nel territorio di circa dieci branchi di lupi, e la loro naturale tendenza a ululare, è così diventata un richiamo turistico, anche se la convivenza fra lupi e allevatori della zona non è facile. Per smorzare le tensioni, le autorità del Parco rimborsano i danni subiti e nel 2016 hanno varato il progetto “cane da guardiania”. Perché non c'è meglio di un buon cane da pastore per difendere efficamente il gregge.
Orma di lupo nel parco, foto R. Copello

INFORMAZIONI
- Libri e guide: “Il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi – dove gli alberi toccano il cielo”, Giunti, 12 euro; “Foreste sacre”, Giunti, 10 euro; “Guida a Piedi nel Parco. 34 escursioni nel Parco Nazionale”, Edizioni Parco Foreste Casentinesi, 16 euro.
- Carta escursionistica del Parco nazionale Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, in scala 1:25.000, pubblicata dalla Selca di Firenze.