Viaggiare sul dorso bofonchiante della “Muntagna”. L’Etna non è solo il vulcano attivo più grande d’Europa, è l’occasione per un tour alla scoperta del gigante alto 3340 metri, esteso su una superficie di quasi 1600 chilometri. Atterriamo a Catania e dopo aver noleggiato il nostro mezzo con pochi chilometri iniziamo a girare attorno al vulcano.
 
L’occasione è, come si dice, ghiotta, anzi preziosa. Perché al patrimonio naturalistico del Parco dell’Etna corrisponde una sequenza emozionante di soste in centri e paesi che hanno nelle produzioni agricole il loro vanto.
 
1. I PROFUMI DEI FUNGHI ETNEI A PEDARA
L’aroma particolare e intenso che caratterizza i funghi che crescono sull’Etna restituisce al palato i profumi del bosco. Dalle numerose specie arboree, con le quali vivono in simbiosi, essi infatti traggono le molteplici sfumature di gusto e di odore. Così, un’aromaticità speciale è conferita dalle resine dei pini, la dolcezza dai castagni, una sfumatura speziata dai faggi e sentori d’erba dal sottobosco dei querceti.
 
A questo “oro dell’Etna” è dedicata in ottobre una sagra a Pedara, borgo sulle verdeggianti colline meridionali del vulcano. 
Il sottobosco nel parco dell'Etna / foto Getty Images
2. LE MELE DELL’ETNA A ZAFFERANA
Cardilla, abbondanza, donneddu, ruggia, turca, rotolo, a me donna, maledeci, romaneddu, montagnose: sono solo alcuni dei nomi fantasiosi dati alle tante varietà di mele un molto diffusi sui fertili terreni favici dell’Etna. Uno dei fattori che da sempre contribuisce positivamente alla qualità e alla conservabilità dei frutti è l’elevata altitudine delle coltivazioni.
 
Una città d’elezione per avvicinarsi a molta dell’enogastronomia locale è Zafferana Etnea. Uscendo da Viagrande in direzione nord, in poco menodi 10 chilometrisi arriva a Zafferana Etnea.
Zafferana Etnea (Ct) / foto Getty Images 
3. RISCOPRIRE IL LATTE D’ASINA A MILO
A circa un chilometro da Milo, in direzione Macchia di Giarre, si trovano aziende agricole che operano anche come fattorie didattiche. La maggior parte delle razze locali di asini è a rischio di estinzione. Animali che, fino ad alcuni decenni addietro, erano una presenza importante nelle campagne del sud Italia, dove era facile incontrarne che trainavano carri. Un contributo importante per la sopravvivenza di queste razze può venire dalla riscoperta del latte d’asina, ideale per l’alimentazione dei neonati con problemi di allergia ad altri tipi di latte. Un presidio Slow Food che diffonde la conoscenza e il consumo del latte d’asina è Asilat.
 
Milo è il paese più alto del versante orientale dell’Etna e il meno popolato della provincia, contando poco più di 1000 abitanti. All’ingresso dell’abitato ci si trova sulla piazza Belvedere, che fa corrispondere al nome la spettacolare veduta che si ammira dalla sua terrazza.
 
4. LA VITICOLTURA ESTREMA A SANT’ALFIO
L’Etna accoglie vitigni su tre dei suoi quattro versanti. Il versante sud è quello in cui la viticoltura è più impervia, con vigneti che, in alcune zone, come per esempio in contrada Cavaliere, nel comune di Santa Maria di Licodia, superano i 1000 metri di altitudine. A est, la zona di Viagrande è fra le più vocate. Sempre a est, in una località di Zafferana Etnea, resiste una viticoltura definita “estrema” da chi segue il mondo del vino. Il riferimento è a monte Ilice, uno dei crateri secondari più grandi, così chiamato per l’abbondanza di lecci. È arduo e costoso condurre le vigne fra i 700 e 900 metri di altezza, con pendenze vertiginose.
 
Sant’Alfio: le origini stesse di questo paesino sono legate all’attività vitivinicola. Nella zona esisteva infatti solo un piccolo insediamento rurale quando, nel Seicento, gruppi di coltivatori provenienti da Viagrande e Acireale vi avviarono un programma di disboscamento per impiantare vigneti. E a Sant’Alfio il rilancio della viticoltura negli ultimi decenniè andato di pari passo con la rivalutazione, più in generale, dei vini dell’Etna.
Vigneti su terreni vulcanici dell'Etna / foto Getty Images
5. LE TABACCHIERE DEL SIMETO
La tabacchiera è una varietà di pesca dell’Etna a pasta bianca particolarmente gustosa, che sulle pendici del vulcano ha trovato un habitat ideale. Il curioso nome si deve alla sua forma molto schiacciata, che l’immaginazione di qualcuno ha associato alla foggia di una scatoletta da tabacco. Solo nel secondo dopoguerra le colture annuali iniziarono a essere sostituite da colture perenni. E giusto in quel periodo vennero introdotti i primi peschi nell’alto Simeto, in un’area oggi compresa tra Adrano, Bronte, Biancavilla e Maniace.
 
6. L’ORO VERDE DI BRONTE
A Bronte non c’è negozio, bar, pasticceria che non proponga dolcetti a base di pistacchio: croccanti, torroni, torroncini, paste e torte. Utilizzato anche in svariate altre preparazioni culinarie, il pistacchio raggiunge la sua apoteosi nell’annuale sagra organizzata tra la fine di settembre e i primi di ottobre. Anticamente introdotta dagli arabi, la pianta di pistacchio è oggi la principale risorsa economica della cittadina.
Bronte (Ct) / foto Getty Images
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