Castelli, montagne, laghi, canyon, passeggiate, sport, agriturismi, buona tavola... In Val di Non, questa valle trentina che quasi non sembra una valle, tanto è larga e dolce, si può venire per tante ragioni. Compresa, ovviamente, quella per cui oggi è famosa nel mondo: la mela. Non pensiate però che a imporla come simbolo locale sia stato solo un abile marketing pomologico. Per ricredersi, basta un piccolo tour artistico nella valle anaune (Anaunia è il nome antico della valle, abitata appunto dagli Anauni e romanizzata nel I sec. a.C.).

Dunque, prima sosta a Nanno, nell'antica chiesa dei santi Fabiano e Sebastiano, dove si trova l'affresco quattrocentesco della “Madonna della mela”: Maria con la mano destra regge il Bambino, mentre nel palmo della sinistra tiene una mela. Proseguite poi fino a Cles: suo gioiello è il quattrocentesco Palazzo Assessorile, con gli affreschi coevi della bottega veneta di Marcello Fogolino, al secondo piano. Recenti restauri, però, hanno portato alla luce al terzo piano un notevole ciclo di affreschi biblici, opera di un anonimo pittore di scuola nordica: non potevano mancare Adamo ed Eva nell'atto di cogliere da un albero la mela proibita. A Pez di Cles, poi, nella chiesa di San Vigilio c'è una statua intagliata a inizio '700 dallo scultore Vigilio Prati: una Madonna e un Bambino che tengono in mano una mela e una pera (un tempo i clesiani portavano la statua in processione per scongiurare la grandine sugli alberi da frutta). Ultima tappa Sarnonico, nell'Alta Valle di Non: negli affreschi del cinquecentesco Palazzo Moremberg, ora sede del Municipio, c'è una scimmietta che regge fra le zampette (indovinate?) una mela.

Fatta questa premessa artistico-frutticola, l'elenco delle nove ragioni per cui vale la pena visitare la Val di Non deve per forza iniziare dall'universo mela.

1. COLTURA E CULTURA DELLA MELA

Le mele della Val di Non saranno pure le più famose d'Italia, ma vogliamo parlare dei meli? È grazie a loro, alla candida fioritura delle piante che ricoprono 7mila ettari di pendii, che a fine aprile la valle si trasforma in una specie di paradiso in terra, una promessa di felicità. Ma sono poi moltissime le iniziative che dalla primavera all'autunno celebrano l’unica mela DOP d’Italia, consentendo di scoprire il bello e il buono della frutticoltura anaune: da Fiorinda, la festa dei meli in fiore, in aprile a Mollaro nel comune di Predaia, sino a Pomaria, la grande festa del raccolto che quest’anno, per la pandemia, avrà luogo in forma di evento diffuso, dall’1° al 17 ottobre, con un ricco programma di visite guidate, degustazioni e incontri con differenti realtà artigianali, legate alle mele e al gusto a chilometro zero. Interessante l'iniziativa “Adotta un melo”, che offre la possibilità di visitare i frutteti in primavera, diventare contadini per un giorno, “adottare” una pianta apponendovi una targhetta con il proprio nome, essere informati via e-mail sulla sua crescita, infine ritornare in ottobre a coìr, cioè a cogliere, le proprie mele direttamente dall'albero. 

Adotta un melo - foto Simonini/APT Val di Non

A pochi chilometri da Romallo c'è poi AlMeleto, un percorso ludico/didattico di circa 5 chilometri ideato per imparare, giocare, muoversi e rilassarsi. Da citare anche MondoMelinda, il centro visitatori del Consorzio Melinda, dove un'esperienza immersiva nello spazio multimediale del “Golden Theatre” fa conoscere la miniera dolomitica di Rio Maggiore, l'unico impianto al mondo per la frigo-conservazione di frutta in ambiente ipogeo (cioè sottoterra) e a temperatura costante. E non pensiate che mela qui significhi solo la gialla Golden Delicious, la Red Delicious, la pregiata Renetta Canada o varietà più moderne come la Fuji o la Royal Gala. In realtà in Val di Non, accanto alle mele oggi più diffuse, sopravvivono diverse varietà autoctone ed antiche, come Napoleon, Renetta Champagne, Bella di Bosco, Palmandor, Gravenstein, Limoncino, Fragoni, Rosa di Caldaro, Mantovano Piatto, Rosmarine, Belfiore di Ronzone. Le si può conoscere nel Frutteto storico di Cles, ai margini del bosco in località Bersaglio, dove si coltivano 80 antiche varietà di mele e 12 di pere a rischio estinzione.

Info: siti web www.adottaunmelo.comwww.almeleto.it.

2. OH CHE BEL CASTELLO... D'ARTE CONTEMPORANEA!

I castelli in Val di Non sono tanti, almeno una ventina. Non tutti sono visitabili, perché privati, ma sempre più sono quelli che simbolicamente “alzano il ponte levatoio” per accogliere i turisti. Come i quattro manieri che fino al 30 ottobre celebrano l'arte contemporanea con la mostra diffusa “A Line Made by Walking. Pratiche immersive e residui esperienziali in Long, Fulton, Griffin, Girardi” (un progetto a cura di Jessica Bianchera, Pietro Caccia Dominioni e Gabriele Lorenzoni. realizzato con la collaborazione di Panza Collection, APT Val di Non e Urbs Picta).


A Line Made by Walking. Pratiche immersive e residui esperienziali, installation view, Castel Belasi – Richard Long, Cross of Sticks, 1983 © Francesco Mattuzzi

Cuore della mostra, con 21 opere esposte, è il duecentesco Castel Belasi, complesso medievale cintato da una doppia cortina muraria e circondato da meleti: con un importante restauro il comune di Campodenno lo ha riportato a nuova vita ricavandone uno spazio espositivo di primo livello. Vi sono allestite opere per lo più inedite di Richard Long, Hamish Fulton e Ron Griffin, tutte appartenenti alla Panza Collection, oltre che lavori dell'italiano Daniele Girardi. C'è poi Castel Coredo, austero palazzo settecentesco nel comune di Predaia, dove sono esposti tre libri d'artista di Fulton, Long e Girardi, oltre a un'opera scultorea di Griffin. Quindi Castel Nanno: già residenza di campagna della famiglia Madruzzo, segnato dal passaggio dei soldati austriaci, italiani e tedeschi durante il XX secolo, accoglie un’installazione site-specific di Daniele Girardi.


Castel Nanno - foto Massimo Ripani/APT Val di Non

Infine, una serie di opere di Griffin è ospitata, a Tassullo, nelle scuderie dell'intatto Castel Valer. È questo un gioiello di dimora abitata dal 1368 dai conti Spaur e perfettamente conservata, con gli arredi originali delle sue 88 sale e la svettante torre ottagonale di 40 metri, la più alta del Trentino. Oltre il bel ponte in pietra, si visitano il cortile, la cantina, gli studi, la cucina gotica, il loggiato, il salone degli stemmi, le stanze madruzziane e il Salone Ulrico, con il fortepiano sul quale si dice abbia suonato Mozart. Stupefacente, nei giardini, la cappella di San Valerio tutta affrescata da Giovanni e Battista Baschenis, i “pittori vaganti” bergamaschi che tra il ’400 e il ’500 decorarono chiese e palazzi in tutto il Trentino occidentale. Alla fine, si esce da Castel Valer con l'impressione di avere visitato non un museo del passato, ma un'abitazione viva e vissuta.


Castel Valer - foto Roberto Copello

Il più emblematico castello della valle è però Castel Thun, uno dei più sontuosi manieri medioevali d'Italia. Da quando è stato riaperto, nel 2010, dopo lunghi restauri, è anche uno dei castelli più visitati del Trentino. Le 150 stanze di questa enorme dimora signorile sono uno scrigno di tesori: gli arredi originali, le opere d’arte, la biblioteca di 7300 libri, la cappella affrescata, le stufe a olle... E poi ci sono i grandi giardini, collegati a mura, torri, bastioni, fossati. Un luogo insomma che racconta anche l'importanza che avevano in passato sia la Val di Non, sia una famiglia potente come i Thun, già banchieri degli Asburgo, che lo hanno posseduto e abitato senza interruzioni dal XIII secolo sino al 1982 (ora il castello appartiene alla Provincia di Trento). La più emblematica delle sue 150 stanze? La “stanza del vescovo” con lo spettacolare soffitto a cassettoni in legno di cirmolo e il letto a baldacchino in cui morì Pietro Vigilio Thun, ultimo principe vescovo di Trento. E l'estate a Castel Thun porta due novità: il nuovo allestimento dedicato alla collezione di carrozze, ricavato nella grande sala del Cantinone completamente restaurato, e la mostra fotografica sulla famiglia Thun, allestita nella Biblioteca. 

Info: siti web www.castellivaldinon.itwww.visitcastelvaler.itwww.castelthun.com.


Castel Thun - foto Roberto Copello
 

3. SAN ROMEDIO, UNA SCALA VERSO IL CIELO
Il santuario più famoso del Trentino è fiabesco tanto per l’architettura quanto per la leggenda che ha alle spalle. Si narra che nel IV-V secolo il ricco austriaco Romedio lasciò il suo castello e le sue miniere di sale, si ritirò da queste parti con due discepoli in una grotta sotto una punta rocciosa, e vi passò tutta la vita liberando indemoniate e guarendo malati. Prima di morire, però, il santo volle scendere a Trento a salutare l’amico vescovo Vigilio, il grande evangelizzatore del Trentino. Fece per andare a prendere il cavallo, ma trovò che un orso stava finendo di divorarlo. Senza scomporsi, ordinò di sellare il plantigrado, che docile si sottomise. Poi, in groppa all'orso, scese tutta la Val di Non e fece un ingresso trionfale a Trento, benedicendo stormi di uccelli. La simpatica leggenda ha reso Romedio immensamente popolare dal Trentino al Tirolo. E alla prima millenaria chiesetta che custodisce le sue reliquie in cima alla rupe altre quattro se ne sono aggiunte, a formare una piramide di cinque santuari sovrapposti, collegati da 131 gradini e abbarbicati senza piano regolatore a un roccione alto quasi cento metri.

Fra essi, la chiesa maggiore, edificata nel ’500 con le pietre che i pellegrini portavano per guadagnarsi 40 giorni di indulgenza. Oggi a San Romedio si arriva anche con la carrozzabile, ma il modo più suggestivo è percorrere a piedi uno dei quattro sentieri che lo raggiungono: il più noto sale da Sanzeno in 45 minuti seguendo un antico canale di irrigazione nella stretta gola rocciosa del rio San Romedio. E al santuario da tempo si è abituati a incontrare un orso vivo e vegeto, a ricordo di quello ammansito dal santo. Il primo fu Charlie, che negli anni 50 il conte Gallarati Scotti strappò a un circo. L'ultimo è Bruno, anziano plantigrado che, sottratto alla prigionia di un privato, dal 2013 trascorre la sua vecchiaia presso il santuario, in un'area di un ettaro predisposta per lui, amorevolmente curato e nutrito dal signor Fausto Iob.

Sarebbe un peccato, però, venire a San Romedio senza visitare anche la Basilica dei Martiri nella vicina Sanzeno. Che non è una chiesa qualunque, ma la veneratissima “chiesa madre” di tutta la Val di Non. Con il suo bel campanile romanico a trifore sorge infatti proprio sul luogo dove, secondo la tradizione, il 29 maggio 397 furono martirizzati i santi Sisinio, Martirio e Alessandro, arrivati dalla lontana Cappadocia a evangelizzare la valle e le cui reliquie sono conservate in una cappella, dentro un'urna di marmo rosso.


Santuario di San Romedio - foto Getty Images

4. NELLE VISCERE DELLA TERRA

Percorrendola in auto, o arrivandovi con il trenino Trento-Malè, nessuno direbbe che la Val di Non è (anche) la “valle dei canyon”. Certo, la definizione è recente, come lo è la scoperta ludica e turistica delle tante e profonde spaccature lungo la valle del fiume Noce, rimaste nascoste per secoli agli stessi nònesi. È bastato però organizzarsi, attrezzarle con passerelle e scale metalliche, preparare una serie di guide, mettere a disposizione i caschetti. E così oggi la Val di Non conta su nuove, adrenaliniche attrazioni.

Una è il canyon del Rio Sass, un gola che le acque impetuose hanno scavato nel corso di milioni d'anni, proprio sotto il borgo di Fondo, capoluogo dell'Alta Val di Non. I suoi vertiginosi strapiombi per secoli sono stati usati come discarica, per chi abitava case costruite proprio sul loro bordo. Ripuliti e attrezzati, dal 2001 svelano la loro bellezza a chi li percorre, fra giochi di luce e ombre, muschi e spruzzi d'acqua. E poi, tra le forre della valle, c'è il Parco fluviale Novella, tra i comuni di Dambel e Novella: qui non solo ci si addentra nella roccia, camminando a mezz'aria su passerelle d'acciaio sospese sul canyon, ma ci si può anche avventurare sulle sue acque: pagaiando in kayak dal lago di Santa Giustina, oppure facendo canyoning, scivolando e saltando fra le pozze e le marmitte dei giganti del canyon di Castelfondo.

Info: www.canyonriosass.itwww.parcofluvialenovella.it


Kayak presso il lago di Santa Giustina - foto Elisa Fedrizzi
 
5. IL LAGO CHE UN TEMPO ERA ROSSO
Uno zaffiro incastonato in un mare di smeraldi. Così appare oggi il lago di Tovel, con le sue acque cristalline circondate dal verde delle abetaie, nel cuore delle Dolomiti di Brenta, a 1178 metri di altitudine. Chi ha un bel po' di anni sulle spalle, però, ricorda con nostalgia quando, d'estate, il blu zaffiro veniva sostituito da un rosso rubino. Quello del “lago rosso” era uno spettacolo magico, unico al mondo, calamita di turisti e generatore di leggende. Come quella della principessa Tresenga, che lo aveva arrossato con il proprio sangue quando fu uccisa dal perfido re di Tuenno che aveva rifiutato di sposare. Le acque si tingevano ogni anno, in estate, e così fu sino al 1964. Poi, più nulla: qualcosa era cambiato negli equilibri idrobiologici del lago, ad attestare il suo vermiglio passato restavano solo vecchie fotografie.

Il lago, tuttavia, non ha smesso di riservare colpi di scena. A lungo si era ritenuto che il mancato arrossamento fosse dovuto alla scomparsa della microscopica alga Glenodinium sanguineum e dei pigmenti carotenoidi da essa rilasciati. Solo negli ultimi anni un'équipe internazionale di studiosi coordinati dall'Istituto Agrario di S. Michele all'Adige ha dimostrato che l'origine del fenomeno non era poi così poetica. Il lago di Tovel, in sostanza, cambiava colore per la presenza di un'altra alga unicellulare, la Tovellia sanguinea, nutrita dal fosforo e dall'azoto delle deiezioni delle vacche che all'epoca d'estate salivano agli alpeggi ben più numerose che ai giorni nostri. Rosso o non rosso, in ogni caso quello di Tovel resta un lago incantato, con boschi, vette e ghiacciai che si riflettono sulle sue acque come in uno specchio, formando “quadri” che con il foliage autunnale assumono mille sfumature di colori. Vale la pena farne il giro completo, fermandosi su spiaggette dal candore caraibico, salendo a una cascata, spiando i sub che si immergono fra i millenari tronchi fossili della foresta sommersa.

Info: www.pnab.it
 


Lago di Tovel - foto Stefania Menghini/APT Val di Non

6. COMPOSTÈLA, SPETIME CHE MÌ ARIVI!

A ogni valle e a ogni provincia il suo Cammino: è il trend del momento. Quello proposto in Val di Non però guarda davvero lontano: niente meno che a Santiago di Compostela. E pazienza se poi le sette tappe del Cammino Jacopeo d'Anaunia, anziché prendere la direzione dei Pirenei e della Galizia, si avvolgono su se stesse, con un giro ad anello di 160 chilometri che parte e arriva a Sanzeno, capoluogo religioso della valle. Fa nulla: quel che è certo (e chi potrebbe smentirlo?) è che questi sentieri sin dal Medioevo sono stati percorsi da commercianti, soldati e pellegrini. E che fra questi ultimi c'era chi si “accontentava” dei santuari della zona, ma c'era davvero anche chi faceva testamento e partiva per la meta spagnola, lontana 2300 chilometri.

Così fece nel 1208 Zanebello, pievano della parrocchia di Cles. E lo stesso fecero tanti tirolesi che transitavano per la Val di Non, durante il loro viaggio verso la tomba di san Giacomo (al quale, non a caso, in Trentino sono dedicate ben 46 chiese). L'Anaunia a loro offriva una quindicina di ospizi, persino gestiti dai Templari, e molte restano in valle le tracce della devozione all'apostolo. Lo sono per esempio i sette affreschi di san Giacomo sui muri di case di Fondo: li fecero dipingere a fine '400 famiglie che, risparmiate dalla peste, avevano fatto voto di recarsi a Santiago. E ci sono persino un paio di chiese, a Dres e a Pavillo, in cui i protomartiri d'Anaunia sono idealmente raffigurati come pellegrini a Santiago. Poi, certo, c'era chi si limitava a pellegrinaggi locali: per invocare la pioggia o verso luoghi di eremitaggio, al santuario di San Romedio o alla basilica dei Santi Martiri a Sanzeno. Con questo spirito e verso queste mete, dunque, ci si può incamminare, zaino in spalla, lungo le tappe del Cammino Jacopeo d'Anaunia, seguendo la segnaletica caratterizzata dal simbolo compostelano di una conchiglia gialla. Numerose lungo il percorso le strutture convenzionate a chi presenta la Credenziale del pellegrino, che si può ricevere a casa richiedendola all'Apt Val di Non o scrivendo a info@santiagoanaunia.it. 

Info: www.santiagoanaunia.it


Cammino Jacopeo d'Anaunia - foto Roberto Copello

7. COME SI SCRIVE IL TUO NOME IN RETICO?

Un passato quasi sconosciuto, un presente ancora poco noto. Il passato è quello delle antiche civiltà che hanno abitato la Val di Non. Il presente è quello del modernissimo Museo Retico, calato come un'astronave all'imbocco della passeggiata naturalistica per il santuario di San Romedio. Pienamente in funzione dal 2008, questo museo archeologico dall'allestimento coinvolgente costituisce un'autentica sorpresa. All'interno dell'edificio decostruttivista, progettato dall'architetto trentino Sergio Giovanazzi, il patrimonio archeologico locale si dispiega secondo un criterio cronologico, dalla preistoria all'alto medioevo, attraverso il percorso “Pozzo del tempo” e diversi allestimenti multimediali.


Museo Retico - Foto Roberto Copello

Nella prima sezione protagonista è una statua-stele in marmo, trovata a Revò (risale al III millennio a.C.). La seconda, cuore del museo, passa dalle testimonianze della cultura di Sanzeno-Fritzens (seconda Età del Ferro) ai reperti lasciati dai Reti, genti stanziate fra Italia e Austria prima dell'arrivo dei Romani. Di questo popolo, che Plinio apparentava agli Etruschi anche se è più probabile fosse di origine celtica, il Museo Retico espone splendidi oggetti d'arte e semplici utensili d'uso quotidiano, provenienti soprattutto dal ricco sito archeologico di Sanzeno, che fu frequentato dal V sec. a.C. al VI sec. d.C., e dal luogo di culto di Campi Neri, presso Cles. Divertente la possibilità di conoscere la scrittura retica, digitando su uno schermo touch il proprio nome, che appare poi sul muro tradotto in caratteri retici. Un altro dispositivo multimediale consente di consultare virtualmente la famosa Tabula Clesina, lastra di bronzo scoperta nel 1869 in località Campi Neri di Cles e che riporta l'editto con cui l'imperatore Claudio nel 46 d.C. concedeva la cittadinanza romana agli Anauni, ai Sinduni e ai Tulliassi. L'originale è al Castello del Buonconsiglio a Trento ma il Museo Retico ne espone una copia a grandezza naturale.

La romanizzazione della valle è poi attestata da statue, corredi funerari, documenti epigrafici, mentre copie di reliquiari legati al culto dei santi martiri di Anaunia introducono alla cristianizzazione della valle. Infine la sala “Sanzeno Antica” illustra la storia delle ricerche archeologiche effettuate in zona dal XIX secolo, esibendo la riproduzione in bronzo del sensazionale karnyx scoperto proprio a Sanzeno negli anni 50. Si tratta di uno strumento musicale a fiato, un corno da guerra alto due metri e con padiglione a testa di cinghiale o di serpente che veniva usato in battaglia dalle popolazioni celtiche per terrorizzare i nemici. Il suo scopo è rimasto sconosciuto fino al 2008, quando un'archeologa francese lo ha associato ad altri karnykes ritrovati in una decina di siti, dalla Romania alla Scozia. Una conferma, insomma, dei contatti che i Reti avevano con le popolazioni celtiche di mezza Europa.

Info: www.archeotrentino.it

Museo Retico - Foto Roberto Copello

8. LA SIGNORA MORTANDÈLA E ALTRI SAPORI

La “Strada della mela e dei sapori della Val di Non e della Val di Sole” ha un merito: fa capire che in quest'angolo del Trentino nordoccidentale non ci sono solo mele (che peraltro si prestano a un’infinità di travestimenti: succhi e sciroppi, marmellate e grappe, strudel e sidro) ma anche formaggi, salumi e tanti altri frutti: pere, ciliegie, frutti di bosco. Dal latte dei pascoli più elevati, per esempio, nascono formaggi come il Trentingrana e il Casolét. Il Grana Trentino, prodotto dal 1926 solo con latte selezionato, caglio e sale senza l’aggiunta di conservanti, si batte alla pari con i suoi simili emiliani e lombardi: ogni anno 100mila forme affrontano i 20 mesi di maturazione. Il Casolèt a latte crudo e pasta molle della vicina Val di Sole è presidio Slow Food. Specialità assolutamente locale e unica è la Mortandèla affumicata, salume preparato con le parti meno nobili del maiale cui si aggiungono in genere vino e spezie prima di appallottolarle e metterle ad asciugare (non viene insaccata in un budello). Da citare anche il miele: poco sotto Castel Thun, a Vigo di Ton, c'è Mieli Thun, un'azienda agricola impostasi a livello nazionale per la qualità dei suoi mieli monofloreali e nomadi. E in valle c'è persino una piccola produzione di vino, grazie a un antico e rustico vitigno eroicamente tenuto in vita sulle sponde del lago di Santa Giustina, il rosso Groppello di Revò, documentato sin dal Cinquecento. Ancora in epoca asburgica in valle se ne producevano 50mila ettolitri. Oggi solo la tenacia di alcuni viticoltori consente la produzione di 200 ettolitri, da pochi vigneti coltivati manualmente a 700 metri di altitudine nei comuni di Cagnò, Revò, Romallo e Cloz. Così il Groppello di Revò si è imposto come il quarto vitigno autoctono trentino, assieme a Teroldego, Marzemino e Nosiola.

E sulla tavola? La cucina nònesa, una cucina “povera” erede della tradizione contadina, propone gnocchi smalzadi o di mosa (a base di farina gialla e latte), tortèl de patate accompagnato da carne salada e fagioli o da un tagliere di salumi e formai dal mont, minestra di orzo, canederli, strangolapreti, selvaggina e anche tanti dolci. Come il brezdel, la ciambella soffice originaria del paesino di Brez, tipica dei matrimoni di una volta. Piatti che si possono scoprire durante la rassegna gastronomica “Antichi Sapori della Val di Non”, ogni anno in ottobre. Oppure in una delle tante “feste dei portoni”, come la passeggiata gastronomica di Revò, la Cosina Nonesa en ti Somasi da Fon e i Portoni di Coredo. Come funziona? Si riceve una mappa del paese con i vari portoni e porticati e i menù che vi sono proposti, quindi si gira per il paese, scegliendo dove fermarsi a mangiare.

Info: www.stradadellamela.it.

Foto Roberto Copello

9. INDOVINATE LA PAROLA NÒNESA PIÙ NOTA...

Trekking, alpinismo, mountain bike, pesca sportiva, persino immersioni sub nel lago di Tovel... La Val di Non d'estate offre tante possibilità a chi voglia mettere in moto il corpo e la mente. Poi arriverà l'inverno, quando farà parlare di sé anche ben oltre i confini nazionali. Merito della Ciaspolada, la più importante gara internazionale di corsa con le racchette da neve, che si disputa tra i paesi di Romeno e Fondo, sulla classica distanza di otto chilometri (l'edizione numero 48 è in programma l'8 gennaio 2022). La Ciaspolada nacque nell’alta Val di Non nel 1973 per l’intuizione di un direttore dell’Apt locale che vedeva i cacciatori locali marciare spediti sulla coltre nevosa dei boschi di Tret, racchette ai piedi, per portare ristoro ai caprioli affamati. Da allora è divenuta, per numero di partecipanti (circa seimila), la regina delle manifestazioni sportive del Trentino. Nulla di strano allora se la parola più conosciuta al mondo di quel dialetto trentino a sfondo ladino che è il nònes sia proprio “ciaspole”. 

Foto APT Val di Non

INFORMAZIONI
Azienda per il turismo Val di Non, via Roma 21, 38013 Fondo (Tn).
Tel. 0463.830133; www