In quest'articolo la nostra socia volontaria Paola Palmucci ci porta alla scoperta del rione Ludovisi a Roma, ricchissimo di storie e curiosità, meta di passeggiate organizzate lo scorso anno del Club di territorio della Capitale.
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Sì, io credo che se si fosse domandato qual era il più bel giardino del mondo, coloro che conoscevano Roma avrebbero risposto senza esitare: Villa Ludovisi. Fra le cose che, divenendo Roma Capitale d’Italia, venivan prima in mente a quanti conoscevano e amavano Roma, c’era la speranza che quei giardini, con le belle fabbriche e con le statue e i quadri in essi contenuti, diventassero di dominio pubblico e fossero facilmente accessibili. Predire che sotto il nuovo Governo la villa dovesse andare distrutta, come oggi accade, e gli allori, le querce, i pini abbattuti, come oggi li vedi abbattere, sarebbe stata allora un’offesa che neanche il più acerbo nemico della nuova Italia avrebbe osato recarle, perché sarebbe sembrata un’enorme follia.
La distruzione di Roma, Hermann Grimm, 1886

Com’è potuto accadere che uno dei luoghi più suggestivi della Terra, disegnato nel Seicento dall'architetto dei giardini reali di Versailles, il solenne André Le Nôtre, sia stato cancellato in nome della speculazione più sfrenata? Eppure è successo. Siamo nel 1883: è tempo di "febbre edilizia", il piano regolatore prevede la conservazione di Villa Ludovisi ma le immobiliari pagano bene, per i proprietari di terreni è l'occasione di fare fortuna. Perfino il governo ha preso di mira da qualche tempo il complesso. Nel 1884 si fa avanti il ministero dell'Interno, offrendosi d'acquistare parte del giardino per impiantarvi il nuovo complesso del Parlamento: Camera, Senato, Aula Magna per le allocuzioni reali e quant' altro occorre alle funzioni dello Stato appena nato.

La trattativa va per le lunghe, e Don Rodolfo Boncompagni-Ludovisi vuole concludere; si rivolge allora al Comune - retto da Leopoldo Torlonia - prospettando l'idea di un vasto quartiere alto-borghese da costruirsi sulle ceneri della sua villa. Il municipio tentenna, cerca un privato che si faccia carico dei lavori stradali e fognari. Ed ecco che interviene la Generale Immobiliare a chiudere il cerchio: si accolla la costruzione delle strade e l'onere della vendita dei lotti. Il 29 gennaio 1886 viene firmata la convenzione triangolare fra Comune, Generale Immobiliare e il proprietario. Alla fine dell’operazione la Generale Immobiliare realizza 15 milioni dalle vendite a fronte di ben 10 milioni di spese: i "soli" 5 milioni di profitto sono molto al di sotto delle aspettative.

Roma, d'altronde, si presenta in quegli anni come un grande cantiere: tutte le strade sono sventrate; nel 1875 viene ampliato il Corso, la Stampa ha la sede a palazzo Marignoli, altri quotidiani di primo piano sono collocati in altri palazzi nobiliari lungo la grande via. Ci sono già i Magazzini Bocconi (oggi Rinascente), caffè e locali alla moda. Anche Villa Borghese nel 1885 viene ceduta al Comune, attirando subito l’attenzione degli speculatori: grazie alla distruzione di Villa Ludovisi si potrebbe infatti realizzare una grande via di comunicazione, come prolungamento di via del Tritone appena completata, per collegare il centro storico/politico - che si era sviluppato intorno a Piazza Colonna - con Villa Borghese, il “Bois de Boulogne” della capitale italiana.

Nasce così via Veneto, la più bella via della Roma Umbertina, intorno alla quale si sviluppa un grande isolato con ‘ville’, ‘villini unifamiliari’ e ‘case da pigione’ per soddisfare le esigenze della borghesia che per la prima volta arriva nella Roma capitale d’Italia. La sua posizione alta, salubre, la vicinanza alla Stazione Termini risponde alle esigenze dei nuovi ceti emergenti che il neonato Stato unitario porta nella capitale. Roma si popola di uomini d’affari, ambasciatori, per i quali vengono costruiti alberghi di lusso ed edifici di culto diverso da quello cattolico. E così, a poco a poco nasce un rione dove si cimentano i più prestigiosi architetti dall’ultimo ventennio del 1800 fino agli anni quaranta del secolo successivo: il rione Ludovisi.


Veduta del Giardino Ludovisi di G. B. Falda​, 1695
RIONE LUDOVISI: VIA BONCOMPAGNI
La passeggiata inizia in via Boncompagni, che insieme a via Ludovisi è l’unico tratto viario appartenuto alla antica ‘Villa Ludovisi’. Nel Villino Boncompagni, che oggi è sede del Museo Boncompagni Ludovisi (al numero 18 della via), si ammira, nel Salone delle Vedute al piano nobile, l’affresco con un trompe l’oeil che rievoca il parco della perduta Villa. L’edificio fu progettato nel 1901 dall’ingegnere Giovanni Battista Giovenale e poi modificato nel 1932 dal principe Andrea e dalla moglie Alice Blanceflor de Bildt. Grazie alle volontà testamentarie della principessa oggi il Villino è diventato un Museo per le Arti decorative, il Costume e la Moda dei secoli XIX e XX, aperto ai visitatori grazie anche ai volontari di Aperti per Voi del Touring.

Entrata del Villino Boncompagni - foto Morganti
Lungo via Boncompagni è possibile ancora ammirare numerosi villini unifamiliari costruiti a partire dalla fine degli anni ottanta dell’800 fino agli anni trenta del ‘900. Sono tutti in stile eclettico con contaminazioni liberty: gli architetti cercarono di soddisfare i gusti dei proprietari che volevano replicare lo stile rinascimentale degli antichi grandi palazzi nobiliari. Questa scelta in nome di un ritorno ai canoni del ‘500 incontrò il favore sia di committenti quali i Boncompagni-Ludovisi che dei ricchi ‘mercanti di campagna’ come i Calabresi che scelsero G. Koch per rimanere fedeli allo ‘stile nazionale’.

Si passa poi davanti ai giardini del Villino Rattazzi, realizzato da Giulio Podesti nel 1899 per un familiare del celebre statista, al Villino Pignatelli di Giuseppe Mariani che ricorda Palazzo Rucellai a Firenze, al Villino Folchi che confina con l’Excelsior (numeri civici 12-10 di via Boncompagni). La presenza dei Ministeri portò a Roma un grande flusso di impiegati, i colletti bianchi. Anche loro aspiravano ad elevarsi socialmente attraverso la loro abitazione; per loro furono costruite le ‘case da pigione’ di livello elevato che si alternano lungo la via di villini. Appartamenti ampi (dai 70 ai 300 mq) con soffitti alti 4 - 4,5 m fatti da lunghi corridoi su cui si aprivano grandi stanze, case di lusso con l’elettricità, l’ascensore, i lavatoi all’ultimo piano e servizi igienici privati.


Villino Pignatelli - foto Bucci
Della antica Villa Ludovisi il principe Rodolfo riservò per la sua famiglia un appezzamento di terreno dove fece costruire una grande Villa dall’architetto più importante del momento, Gaetano Koch, il ‘Principe degli architetti romani contemporanei’. Il Palazzo Grande è costituito da un insieme di edifici rinascimentali e ingloba anche un criptoportico degli antichi horti Sallustiani; avrebbe dovuto sostituire lo storico Palazzo Piombino che si trovava a Piazza Colonna, espropriato e demolito per attuare il Piano Regolatore. Nel 1882 la crisi edilizia colpì la famiglia Boncompagni Ludovisi che si vide costretta a vendere la proprietà; la rilevò dapprima la Banca d’Italia e nel 1900 fu acquistata dai Savoia per farne la residenza della Regina Madre, Margherita di Savoia, rimasta vedova dopo l’assassinio di Umberto I e da cui il Palazzo prese il nome.

All’incrocio di Via Veneto con Via Boncompagni il Principe Rodolfo fece costruire due villini per i figli, su progetto di G.B. Giovenale, collegati da una piccola ferrovia oggi scomparsa. In questi due villini nel 1931 s’insediarono la Missione Diplomatica e il Consolato degli Stati Uniti, dal 1928 Palazzo Margherita ospitò la Confederazione fascista degli Agricoltori per poi diventare di proprietà del Governo degli Stati Uniti alla fine della Guerra nel 1946. Dal 2004 appartiene all’Ambasciata americana anche il Palazzo dell’INA che si trova a Via Sallustiana, disegnato da Ugo Giovannozzi ed inaugurato il 30 ottobre nel 1927 nell’ambito delle celebrazioni per l’anniversario della marcia su Roma.  

A Palazzo Margherita la Regina allestì un ospedale per accogliere i feriti della Grande guerra, come ricorda una targa sul muro di cinta. Un’altra targa ci ricorda che qui fu ospitato il generale di brigata Robert T. Frederick, comandante del I raggruppamento servizi speciali americano che a capo della famosa Brigata del Diavolo (la Brigata che non fa prigionieri) guidò la prima truppa alleata che entrò a Roma il 4 Giugno 1944.

RIONE LUDOVISI: VIA VENETO
Giunti su Via Veneto una serie innumerevole di alberghi di lusso si mostrano con tutta la loro bellezza, ricchi di storie. L’Hotel Excelsior, al numero 125, è un capolavoro progettato dall’architetto Otto Maraini come residenza del fratello, grande industriale della canna da zucchero. Durante l’occupazione nazista vi alloggiarono molti ufficiali del comando tedesco della Wermacht, ma questo non impedì a René, che aveva il suo salone per capelli all’interno, di fornire molte informazioni ai partigiani romani. Poco più su, verso Porta Pinciana esiste ancora il Grand Hotel Flora (al numero 191) che appariva nella pubblicità della rivista ‘Emporium’. Anche questo albergo fu requisito dalla Wermacht che collocò al secondo piano l’alto comando della Gestapo dove alloggiarono il Presidente e i membri del Tribunale di guerra. Qui, il 19 dicembre 1943, i Gap piazzarono 4 bombe al piano terra; rimasero uccisi diversi tedeschi. 


L'Hotel Excelsior - foto Boccalaro
Ma non si può dimenticare che via Veneto è stata resa celebre in tutto il mondo da Fellini con il film ‘La dolce vita’ come cita la targa che gli è stata dedicata. Negli anni ’50 via Veneto era il salotto della vita letteraria e culturale italiana, i bar pullulavano di gente a tutte le ore del giorno e della notte. Di notte si potevano incontrare letterati e uomini politici seduti all’Harry Bar, al ‘Doney’ o al Bar Rosati che oggi non c’è più. Non c’è più neanche la famosa libreria Rossetti e il Cafè de Paris è stato riaperto solo recentemente. Negli anni ’60 arrivarono anche le star cinematografiche di tutto il mondo a farsi fotografare dai ‘paparazzi’ sulla via della ‘Dolce Vita’ avvolta da atmosfere ‘felliniane’. 
In una intervista sull’Europeo il regista dichiarò: «Avevo sempre sognato, da grande, di fare l’aggettivo. Ne sono lusingato. Cosa intendano gli americani con ‘felliniano’ posso immaginarlo: opulento, stravagante, onirico, bizzarro, nevrotico, fregnacciaro. Ecco, fregnacciaro è il termine giusto».

Fellini seduto al bar, 1960 - dal sito Roma Ieri Oggi, fotografo: Tazio Secchiaroli​
La nostra passeggiata si conclude tornando sui nostri passi in via Veneto: meta, al numero 70, l’Hotel Ambasciatori, oggi Grand Hotel Palace, costruito su un progetto iniziale di Carlo Busiri Vici e terminato nel 1925 da Marcello Piacentini per conto di Gino Clerici. A quel tempo la via era già tutta costruita e rimaneva solo un lotto di terreno, piccolo e irregolare, ma posizionato eccezionalmente proprio davanti la residenza della Regina Margherita. Qui si può avere la possibilità di entrare nell’hotel per visitare la meravigliosa “Sala Cadorin” dove si ammirano gli splendidi affreschi del pittore Guido Cadorin (1926-27) e si rievocano gli originali menù della cucina futurista.  Alla sinistra dell’ingresso una fontanella per cani del 1940, l’unica in tutta Roma. La tradizione vuole un cliente inglese dell’hotel avesse due cani e si trovasse nella difficoltà di farli bere. Il barman dell’hotel avrebbe avuto l’idea di far costruire la fontanella sormontata dalla sigla Abc (così veniva chiamato il bar, ma anche acronimo di Ambasciatori Bar Charlie)".