Alla periferia di Palermo, a Brancaccio, vicino l’ingresso della autostrada per Messina e Catania, circondato e nascosto dalle abitazioni civili e da alcune opere abusive, si trova il Castello di Favara detto anche di Maredolce.
Fatto costruire durante il suo dominio, tra il 998 e il 1019, dall’emiro Halbita “Jà Far II” (Giafar), come residenza personale, il Castello di Favara (in arabo “fawwarah” sorgente d’acqua) ha una lunga e travagliata storia.
Nel 1071 conquistato da Ruggero II subisce una trasformazione ed un ampliamento diventando uno dei “solatii regii” luogo di delizia dei sovrani normanni.
La vicinanza di alcune copiose sorgenti d’acqua dolce proveniente dal Monte Grifone che sovrasta la zona, una volta incanalate consentirono la realizzazione di un lago che al centro aveva, addirittura, un piccolo isolotto riecheggiante la forma della Sicilia. Questo fatto viene raccontato dal cartografo Al-Idrisi.
Nel lago furono immesse, in quantità, varie specie di pesci per permettere al re di rilassarsi con la pesca. Questa distesa d’acqua dolce, in vicinanza del mare, le fece attribuire la denominazione di Maredolce.
Ancor oggi si può notare come l’edificio sia stato circondato da tre lati dall’acqua del lago del quale poco o nulla rimane essendo divenuto, oggi, una fertile area agricola. Un altro elemento qualificante era un vasto parco ricco di animali come cinghiali, cervi e caprioli. Una vera riserva di caccia per Re Ruggero.
Nel 1328 il re Federico II d’Aragona cedette il Castello ai Cavalieri Teutonici della Magione che lo trasformarono in ospedale finché, nel 1460 fu ceduto a privati e subì diversi cambi di proprietà che ne determinarono continue manomissioni.
Dopo la Seconda guerra mondiale il castello subì un progressivo degrado e abbandono per cui, nei decenni successici, fu vittima di diverse forme di abusivismo e addirittura utilizzato come ricovero per animali.
Nel 1992 la Regione Siciliana espropriò l’edificio e la Soprintendenza ai Beni Culturali di Palermo poté iniziare i lavori di restauro malgrado la resistenza di alcuni occupanti che, ancora nel 2016, ne impedivano il corretto ripristino delle strutture.

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