PROGRAMMA

Ore 8:15 Raduno Piazzale Giotto

Quante volte percorrendo lo scorrimento veloce che da Palermo porta ad Agrigento siamo passati, senza soffermarci e senza nemmeno notarlo, dal bivio di Mezzojuso.
Un piccolo paese, ai margini del bosco di Ficuzza, adagiato sulle pendici di Rocca Busambra, che ha una storia ed una tradizione molto antica e multietnica oltremodo interessante e sicuramente poco conosciuta.
Sembra che il nome del paese, Mezzojuso, abbia origine dal termine “Casale”, in arabo “Manzin” e dal nome del proprietario del casale, sorto per la sosta e il ristoro dei viaggiatori, “Yusuf”. Nasce così dall’unione dei due nomi Manzil Yusuf (Casale di Giuseppe) il nome di Mezzojuso.

Nel 1105 Ruggero II “il Normanno”, divenuto conte di Sicilia e   primo re di Sicilia, scacciò dal paese i Saraceni e tutto il territorio divenne di sua proprietà. Nel 1132 lo donò al Monastero di S. Giovanni degli Eremiti di Palermo. Fu il periodo di maggior splendore per Mezzojuso al punto che venne creata una “Universitas” e i suoi rappresentanti, dopo la guerra del Vespro (1282), parteciparono al Primo Parlamento di Palermo.
Verso la fine del XV secolo arrivarono i profughi fuggiti dall’Albania per l’invasione turca e, come in altre località siciliane e calabresi, si insediarono nel paese.
Nel 1501, stipulati i Capitoli di fondazione, ottennero dal Viceré Ferdinando il Cattolico terre e possedimenti e il loro insediamento divenne residenziale.
Ma la storia del paese ha anche notevoli risvolti letterari: è doveroso citare, tra gli altri, un giovane ”Gabriele Buccola” che tenne una nutrita corrispondenza con Carducci e che per i suoi studi e le sue ricerche verrà considerato il padre della psicologia sperimentale italiana.

Nel paese vi sono tantissime chiese, circa otto, ed anche se l’albanese non è più la lingua madre, l’identità etnica è percepibile nella diversità di liturgia dei due riti: quella latina e quella greca.
La chiesa latina Matrice dell’Annunziata del XVI secolo con statue lignee. La chiesa greca Matrice di San Nicola degli inizi del ‘500 con icone bizantine. La Chiesa di S. Maria di Tutte le Grazie che contiene altre icone bizantine e alla quale è annesso il Monastero Basiliano, ricco di una Biblioteca con rari codici greci e sede di un importante laboratorio di restauro del Libro Antico.
Nacque per l’interessamento della Biblioteca Nazionale di Palermo e padre Dionisi Zito, monaco Basiliano di Grottaferrata, dove i Monaci già possedevano un famoso Centro di Conservazione e restauro del libro. Nel 1985 il Laboratorio ottiene l’attestato di Biblioteconomia presso la Biblioteca Pontificia e, successivamente, ottenne, dall’Istituto Centrale per la Patologia del Libro di Roma, l’abilitazione e l’iscrizione all’Albo Nazionale dei Restauratori Privati, riconosciuto dal Ministero e dall’Assessorato Regionale Siciliano.
Il Monastero partecipa a Macerata e Assisi alla Mostra Internazionale di Rilegatura d’Arte, sotto il patrocinio della Presidenza della Repubblica, dove espongono 650 rilegatori di 47 Paesi del mondo. È l’unico a rappresentare la Sicilia.

Ma a parte l’interessantissima e quasi sconosciuta storia culturale del paese, diverse e numerose sono le sue tradizioni folcloristiche.
Il giorno dell’Epifania si svolge “La festa dell’acqua battiata” e “A vulata d’a palumma” che rievoca il battesimo di Gesù e la discesa dello Spirito Santo sotto forma di colomba.
A marzo, per la festa di “San Giuseppe”, si svolge la cosiddetta funzione del trapasso del Santo: nove lenti rintocchi di campana, il suono del tamburo e lo sparo dei mortaretti che ricordano il momento della morte del padre putativo di Gesù. Una grande suggestione assorbe i presenti all’echeggiare, per le vie del paese, dei canti notturni, il “Mire Mbrema” greco e il “Popule mee”latino.
Ma sicuramente la rappresentazione del “Mastro di Campo”, che si svolge da più di due secoli, è una delle più importanti pantomime carnevalesche che si svolgono in Sicilia: una farsa teatrale con novanta attori che si svolge nella piazza del paese. Una combinazione di storia che si rifà al primo decennio del 1400, quando Bernardo Cabrera avrebbe voluto che Bianca di Navarra, vedova di Martino il giovane, gli cedesse la reggenza dell’isola. In questa farsa si trovano mescolati vari eventi storici di epoche diverse come la presa della Bastiglia, i Picciotti di Garibaldi ed altro ancora.
Alla sua conclusione si forma un corteo che si snoda per le vie del paese.