Il bianco della calce si staglia contro l'intensissimo azzurro del cielo, le palme riparano da un sole che non perdona. Questa la vecchia Ghademes, la “perla del deserto”, uno dei più antichi e affascinanti centri della regione presahariana, che non è difficile immaginare brulicante di una vita che scorreva sotto le stradine coperte e sopra i tetti delle case. L'oasi, la terra e il lavoro manuale: questi gli elementi che l'hanno resa grande, insieme alla creatività degli abitanti e alla loro capacità di vivere in simbiosi con il deserto circostante. Scoprirla con una mappa o lasciandosi guidare dall'istinto è una scelta, ma ci sono alcuni luoghi che non si possono perdere. Come la fonte di Ain al-Faras, il primo luogo che secondo la tradizione sgorgò l'acqua dell'oasi, la palazzina del Governatore, una delle tante case caratteristiche, la piazza del mercato sulla quale affacciano due delle moschee del vecchio abitato, ancora in uso. Ogni anfratto, ogni vicolo, ogni scala e ogni porta aperta meriterebbero una visita. Le vie coperte si addentrano come tunnel nel cuore dell'abitato e lungo quelle maggiori corrono bianche panchine di calce dove gli uomini usavano sedersi a passare le ore più calde della giornata. Il livello stradale che si percorre è in effetti il “luogo degli uomini” e della loro socializzazione. Le donne abitavano la parte superiore delle case, tanto da aver messo a punto una specie di tessuto “stradale” elevato, fatto di cunicoli, scalette e ponticelli che collegavano le abitazioni. Al di fuori della città, si stende l'oasi che ha fatto la fortuna di Ghadames, piacevolissima da percorrere e nella quale, con ogni probabilità, dormiva all'addiaccio chi trovava le porte della città chiuse, allo scendere della notte, da un custode poco paziente.