Scopo originario della Galleria, istituita nel 1784 dal granduca Pietro Leopoldo, era quello di offrire modelli di arte fiorentina agli studenti della vicina Accademia di Belle Arti. Nel corso dell’800, però, la collezione andò via via acquisendo sculture di Buonarroti, e già agli inizi del ’900 se ne cominciava a parlare come del “museo di Michelangelo”. Dopo il 1980, un ampio riordino ha recuperato le origini storiche della Galleria, arricchendola di altre testimonianze della cultura artistica fiorentina contemporanea a Michelangelo.<br>L'edificio ospita anche il Dipartimento degli Strumenti Musicali (che prima si trovava presso il Conservatorio), con una cinquantina di pezzi sei-ottocenteschi provenienti dalle collezioni dei Medici e dei Lorena.<br>Al centro della sala del Colosso si trova il modello originale in gesso del Ratto delle Sabine del Giambologna; alle pareti, pitture fiorentine tra ’400 e ’500, tra cui una Madonna con Bambino di Sandro Botticelli, il cosiddetto cassone Adimari di Giovanni di ser Giovanni detto lo Scheggia (fratellastro di Masaccio), il Matrimonio mistico di S. Caterina di Fra’ Bartolomeo (1512) e la Deposizione dalla croce iniziata da Filippino Lippi e completata dal Perugino.<br>Nella galleria che segue sono esposti i quattro giganteschi Prigioni di Michelangelo (1530 circa), destinati a un monumento sepolcrale di papa Giulio II che non fu poi realizzato: le statue, inutilizzate, furono portate nella grotta del Buontalenti a Bòboli, e trasferite qui nel 1909. Sono tra le più chiare attestazioni del ‘non finito’ michelangiolesco, ispirato alla filosofia neoplatonica allora diffusa a Firenze: esprimono lo sforzo della forma – il lato spirituale – che cerca di liberarsi dalla materia che l’imprigiona. Di Michelangelo è anche un incompiuto S. Matteo, realizzato tra 1505 e 1506 per l’Opera del Duomo. Ci sono anche dipinti di artisti legati a Buonarroti (Granacci, Ridolfo Ghirlandaio, un Pontormo su cartone di Michelangelo) e il gruppo della Pietà di Palestrina, la cui attribuzione è discussa.<br>In fondo, nella tribuna neoclassica, si erge il celeberrimo David (alto m 4.10) che Michelangelo ricavò tra 1502 e 1504 da un gigantesco blocco di marmo già abbozzato da Agostino di Duccio e da Antonio Rossellino, ma poi scartato perché considerato inadatto alla lavorazione. Fin da subito orgoglioso emblema della Firenze repubblicana, divenuto nel tempo simbolo di perfezione formale e bellezza, era rimasto per oltre tre secoli nella collocazione originaria ubicazione in piazza della Signoria. Alle pareti dei vani laterali, dipinti del ’500 (tra gli altri di Santi di Tito, Alessandro Allori, Carlo Portelli).<br>La sezione del ’200 e del primo ’300 presenta i dipinti più antichi della Galleria, provenienti da chiese e conventi toscani, soprattutto fiorentini: opere di pittori seguaci di Giotto, come Bernardo Daddi e Taddeo Gaddi, e dei fratelli Andrea, Nardo e Jacopo di Cione attivi a Firenze dal 1335 alla fine del ’300: fu Andrea a essere detto Orcagna (cioè arcangelo), soprannome poi passato anche ai fratelli.<br>Il salone dell’800 propone dipinti e sculture di artisti di quel secolo, scelti a dimostrazione del legame tra Galleria e Accademia: è importante il nucleo di gessi di Lorenzo Bartolini e di Luigi Pampaloni. Un piccolo affresco staccato del Pontormo (Tre storie della Beata Umiltà da Faenza) ha prezioso valore documentario: rappresenta infatti il salone nella sua originaria funzione di corsia dell’Ospedale di S. Matteo, con monache e malate.<br>Si sale al primo piano osservando l’eterogenea ma significativa raccolta di icone russe cinque-settecentesche provenienti dai Lorena.<br>Tra le sale successive, riservate al tardo ’300 fiorentino, è di speciale interesse quella dedicata a Lorenzo Monaco, con due grandi Crocifissi e un’Annunciazione.