Secoli di storia torinese sono stratificati in questo edificio, che racchiude tutti gli stili architettonici che hanno segnato la città. Porta Decumana della romana Julia Augusta Taurinorum, divenne castello nel medioevo e reggia signorile nel '400, con Ludovico d'Acaja. Nel 1637 fu eletto a residenza di Maria Cristina di Francia, sorella di Luigi XIII, vedova dl Vittorio Amedeo I e reggente per conto del figlio Carlo Emanuele II. Da questa 'madama' deriva il nome del palazzo, trasformato per tutto il '600 su progetti che ne ridisegnarono la facciata (Ascanio Vitozzi) e che coprirono la corte interna, ricavando al primo piano un affascinante salo­ne di rappresentanza (Carlo di Castellamonte). Nel 1718 un nuovo architetto di corte, il messinese Filippo Juvarra, su incarico della seconda madama reale, Maria Giovanna Battista Savoia-Nemours, diede inizio a un'ambiziosa ristrutturazione che si arrestò, tre anni dopo, con la realizzazione della facciata e dello scalone. Un tempo collegato a Palazzo Reale attraverso la galleria di Carlo Emanuele I, distrutta nel 1809 e mai ricostruita, svetta isolato al centro di piazza Castello e costituisce il fulcro urbanistico dell'ampio spazio circostante e, più in generale, dell'intero centro storico. Proprio l'incompiutezza del progetto juvarriano e il recupero archeologico delle diverse testimonianze architettoniche - avviato verso la fine dell'800, sotto la direzione di Alfredo d'Andrade, e durato fino agli anni Trenta del secolo successivo – consentono di cogliere l'aspetto quasi bifronte dell'edificio: agli scuri laterizi medievali del corpo centrale e posteriore, dal quale svettano i quattro torrioni (quelli più prossimi alla facciata sono di epoca romana) si contrappone la lucentezza della pietra chiara del fronte, firmato da Juvarra. Confermano la sedimentazione storica le destinazioni assegnate all'edificio: scampato a un'ipotesi di distruzione in epoca napoleonica, divenne con Carlo Alberto sede della Pinacoteca Regia (1832-65) e ospitò, nel salone centrale riadattato ad aula, dapprima il Senato subalpino (1848-60) e poi quello del Regno d'Italia (1860-64); a lungo sede della Corte di Cassazione (1869-1923), vide innalzata sul proprio tetto, fin dal 1819, la specola dell'Osservatorio astronomico, demolita nel 1920. Dal 1934 il primo piano ospita il Museo civico d'Arte antica. La chiusura al pubblico, nel 1988, ha segnato l'inizio di una sofferta fase di restauro, con un decennio oscuro seguito dal felice avvio, nel 1998, del progetto che ha restituito il palazzo alla funzione di museo. Completato l'intervento radicale e riaperto al pubblico nel 2006, l'edificio si rivela un capolavoro dell'architettura del primo '700 europeo. L'opera di Juvarra è una sorta di monumentale quinta scenografica che, alla vista, si offre aperta e 'penetrabile' attraverso nove ampi finestroni, da cui la luce inonda gli spazi e diviene strumento di composizione architettonica. Nelle sale restituite all'antico splendore è allestita la raccolta di arte antica. A pianterreno, attraversato l'atrio adibito all'accoglienza al pubblico, nella sala detta 'del Valtone' – la corte coperta dell'antico castello - parte della pavimentazione trasparente consente di 'leggere' le stratificazioni del sottosuolo (le fondazioni e il lastricato romani), mentre tutt'intorno sono visibili le mura e le finestre di epoca medievale; nello stesso ambiente una proiezione audio­ visiva, accompagnata da un'intelligente regia di luci, racconta la complessa storia del palazzo. Salendo al primo piano dal sontuoso scalone, si ammira dalle grandi vetrate l'ampio salone del Senato, usato come sede di mostre temporanee e fulcro del sistema espositivo. Tra le stanze interne, è la solare veranda d'angolo adibita a salottino per i visitatori e, un tempo, Camera degli Specchi che certamente ne esaltavano la luminosità. Suggestiva l'illuminazione che, di notte, esalta l'effetto di leggerezza del volumi.