Orvieto
localita
Orvieto (TR)
«La città d'Urbiveto è alta e strana», scriveva a metà Trecento Fazio degli Uberti, evocando quell'atmosfera di città antichissima e 'misteriosa' che alimenta da secoli il mito di Orvieto. Il carattere dominante è dato dalla simbiosi tra l'imponente piattaforma tufacea e la città costruita, un continuum tra muro naturale e mura artificiali.
Fu certamente la visione di questa grande rupe ad attirare i primi abitatori d'epoca villanoviana. Numerose le testimonianze archeologiche d'epoca etrusca raccolte in centoventi anni di scavo, che hanno permesso di identificare la città antica nell'etrusca «Velzna»; chiamata «Volsinii» dai romani, fu sede del santuario federale di «Fanum Voltumnae». Grazie alla favorevole posizione a cavallo delle principali arterie di scambio sia alla volta della costa tirrenica sia verso le terre padane, Orvieto conobbe dall'VIII-VII secolo a.C. un notevole sviluppo economico.
L'impianto a maglie ortogonali delle necropoli di Crocifisso del Tufo e di Cannicella fa supporre un'analoga disposizione in ambito urbano, dove la presenza di stranieri non doveva essere un fatto sporadico legato ai commerci, ma un elemento integrante della vita sociale, come dimostrano i numerosi gentilizi stranieri (soprattutto di origine greca e italica) incisi sugli architravi delle porte delle camere sepolcrali. Ma, tra la fine del IV e gli inizi del III secolo a.C., l'equilibrio sociale che aveva consentito la crescita della città iniziò ad incrinarsi e di questa debolezza seppero approfittarne i romani che, nel 264 a.C., inviarono l'esercito per deportarne gli abitanti e fondare, sulle rive del lago di Bolsena, Volsinii Novi.
Ma le invasioni barbariche del V-VI secolo indussero la popolazione a trasferirsi nuovamente sulla rupe originaria, dove venne fondata la cittadella alto-medievale di «Ourbibentos» che, dopo qualche secolo, diventerà una nuova città con il nome di «Urbs Vetus» città vecchia appunto. Durante il XIII secolo prese corpo l'organizzazione della città-stato attraverso le istituzioni del libero Comune e Orvieto si trovò ad avere giurisdizione su un ampio territorio. L'avvento della signoria dà inizio alla crisi politica ed economica, accentuata anche dalla peste nera del 1348, che si conclude quando Orvieto entra nello Stato pontificio. A questo periodo risale la costruzione della rocca voluta dal cardinale Albornoz (1364), alla quale solo nel 1527 venne aggiunto il pozzo poi chiamato di S. Patrizio. Dal XVI secolo iniziò il rinnovamento architettonico che cambiò volto alla città, trasformando gli edifici medievali a opera di architetti come Sangallo il Giovane, Mosca, Raffaello da Montelupo e soprattutto Ippolito Scalza. Questa mutazione urbana durò fino a tutto l'Ottocento, con gli interventi neoclassici del Valadier, del Vespignani e dei loro allievi.
Si arriva così al Novecento, secolo in cui l'unica operazione urbanisticamente rilevante è la costruzione (1930) delle caserme, che spezzarono il «continuum» architettonico della città storica comportando la perdita irreparabile delle navate della duecentesca chiesa di S. Domenico. Negli ultimi decenni del '900 la notevole espansione urbana a valle, soprattutto oltre il fiume Paglia, ha consentito di salvaguardare il centro storico, migliorando la vita degli abitanti e consentendo ai turisti di godersi in tranquillità il passato di questa città documentato non solo dai monumenti e dai musei, ma anche dalla viva tradizione artigianale del legno, del ferro battuto, delle trine e soprattutto della ceramica. Come dimenticare i «vascellari» medievali, maestri nella manifattura della maiolica arcaica, grazie ai quali le tessere di mosaico policromo della facciata del Duomo continuano a brillare anche per noi?
Fu certamente la visione di questa grande rupe ad attirare i primi abitatori d'epoca villanoviana. Numerose le testimonianze archeologiche d'epoca etrusca raccolte in centoventi anni di scavo, che hanno permesso di identificare la città antica nell'etrusca «Velzna»; chiamata «Volsinii» dai romani, fu sede del santuario federale di «Fanum Voltumnae». Grazie alla favorevole posizione a cavallo delle principali arterie di scambio sia alla volta della costa tirrenica sia verso le terre padane, Orvieto conobbe dall'VIII-VII secolo a.C. un notevole sviluppo economico.
L'impianto a maglie ortogonali delle necropoli di Crocifisso del Tufo e di Cannicella fa supporre un'analoga disposizione in ambito urbano, dove la presenza di stranieri non doveva essere un fatto sporadico legato ai commerci, ma un elemento integrante della vita sociale, come dimostrano i numerosi gentilizi stranieri (soprattutto di origine greca e italica) incisi sugli architravi delle porte delle camere sepolcrali. Ma, tra la fine del IV e gli inizi del III secolo a.C., l'equilibrio sociale che aveva consentito la crescita della città iniziò ad incrinarsi e di questa debolezza seppero approfittarne i romani che, nel 264 a.C., inviarono l'esercito per deportarne gli abitanti e fondare, sulle rive del lago di Bolsena, Volsinii Novi.
Ma le invasioni barbariche del V-VI secolo indussero la popolazione a trasferirsi nuovamente sulla rupe originaria, dove venne fondata la cittadella alto-medievale di «Ourbibentos» che, dopo qualche secolo, diventerà una nuova città con il nome di «Urbs Vetus» città vecchia appunto. Durante il XIII secolo prese corpo l'organizzazione della città-stato attraverso le istituzioni del libero Comune e Orvieto si trovò ad avere giurisdizione su un ampio territorio. L'avvento della signoria dà inizio alla crisi politica ed economica, accentuata anche dalla peste nera del 1348, che si conclude quando Orvieto entra nello Stato pontificio. A questo periodo risale la costruzione della rocca voluta dal cardinale Albornoz (1364), alla quale solo nel 1527 venne aggiunto il pozzo poi chiamato di S. Patrizio. Dal XVI secolo iniziò il rinnovamento architettonico che cambiò volto alla città, trasformando gli edifici medievali a opera di architetti come Sangallo il Giovane, Mosca, Raffaello da Montelupo e soprattutto Ippolito Scalza. Questa mutazione urbana durò fino a tutto l'Ottocento, con gli interventi neoclassici del Valadier, del Vespignani e dei loro allievi.
Si arriva così al Novecento, secolo in cui l'unica operazione urbanisticamente rilevante è la costruzione (1930) delle caserme, che spezzarono il «continuum» architettonico della città storica comportando la perdita irreparabile delle navate della duecentesca chiesa di S. Domenico. Negli ultimi decenni del '900 la notevole espansione urbana a valle, soprattutto oltre il fiume Paglia, ha consentito di salvaguardare il centro storico, migliorando la vita degli abitanti e consentendo ai turisti di godersi in tranquillità il passato di questa città documentato non solo dai monumenti e dai musei, ma anche dalla viva tradizione artigianale del legno, del ferro battuto, delle trine e soprattutto della ceramica. Come dimenticare i «vascellari» medievali, maestri nella manifattura della maiolica arcaica, grazie ai quali le tessere di mosaico policromo della facciata del Duomo continuano a brillare anche per noi?
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