Edificata qualche anno prima del Mille (fu consacrata nel 997), la basilica è tra le più antiche chiese della città. Ricostruita da Luca Corti e Matteo Fiorentini nel 1514-23, è stata recentemente restaurata negli interni, di significativa qualità artistica nonostante la spoliazione di alcune tra le tele di maggior valore avvenuta nel XVII secolo, quando i duchi estensi dovettero saldare un debito nei confronti della Sassonia e cedettero opere di Correggio, del Procaccini, dei Carracci, del Reni, dello Spada e del Tiarini (si trovano oggi a Dresda, tra le collezioni di arte antica dello Staatliche Kunstsammlungen). La facciata, di plasticità squisitamente barocca, è stata disegnata da Giovan Battista Cattani (1748-53) con cornici mistilinee, il gioco delle nicchie e l’animazione delle undici statue eseguite da Angelo Finali, detto Andrea (secolo XVIII), che rappresentano i santi patroni della città e i dottori della Chiesa. Ai limiti del sagrato sono sei grossi leoni tardo romanici in marmo rosso veronese, qui collocati nel 1504. Forte il contrasto tra le forme settecentesche della chiesa (in cotto) e l’attigua torre campanaria (in pietra grigia), singolare costruzione ottagonale, opera incompiuta dei fratelli Pacchioni (1536-70, su disegno di Cristoforo Ricci riveduto da Giulio Romano) e una delle strutture architettoniche più significative del rinascimento reggiano. L’interno è a croce latina, rischiarata da oculi e ripartita da colonne di ordine dorico ricoperte da stucco in finto marmo; è notevole soprattutto per il tripudio di forme e colori che caratterizza il superbo ciclo di affreschi del coro e del presbiterio: nel primo si ammira il potente verismo di “Paradiso, Resurrezione dei morti e Inferno”, “Seppellimento di Cristo e i profeti Isaia e Osea”, “L’Eterno circondato dagli Evangelisti”, “La Creazione di Eva e l’Apocalisse”, geniale composizione di Camillo Procaccini (1585-87); nel secondo, “La Caduta di Jezabel” e “La Resurrezione del figlio della vedova Naim” di Bernardino Campi (1589). Nella cappella maggiore, egualmente imponente è l’allegorica opera “La Fede circondata da angeli”, “S. Prospero e S. Venerio portati in cielo da angeli e due cori di angeli”, “La Prudenza, la Carità, l’Umiltà e la Temperanza”, sempre del Procaccini (1597-98). Le cappelle laterali mostrano opere di spicco di artisti reggiani dei secoli XVI e XVII. A destra, nella quinta cappella si trova copia de “La notte” del Correggio, nella sesta la “Sacra Famiglia con S. Antonio, S. Genesio e S. Luigi” di Alessandro Tiarini (1639), nell’ottava “S. Giovanni Battista e i Ss. Bernardo e Caterina” di Paolo Emilio Besenzi (1651-52). A sinistra, nella settima cappella, un “Cristo portacroce” di Prospero Sogari (secolo XVI), nella terza “La Cattedra di S. Pietro” di Orazio Talami (1690). Di rilievo anche l’antico coro ligneo a due ordini di stalli, con tarsie figurate, realizzato da Cristoforo e Lorenzo Genesini (secolo XV), e intarsiato da Cristoforo e Giuseppe De Venetiis nel 1546 con paesaggi campestri, nature morte, prospettive urbane: un’opera che costituisce, per la tecnica particolarmente raffinata, un capolavoro dell’arte della lavorazione a intaglio e della tarsia che si afferma a Reggio Emilia fin dalla metà del Quattrocento. Infine, va menzionata la pala dell’Assunta, dipinto di Tommaso Laureti e Ludovico Carracci (1602), capolavoro restaurato ed esposto recentemente sull’altare del Santissimo.