Tharros è una città ‘bimare’, come Corinto. I fenici la fondarono sul finire dell’VIII secolo a.C. come scalo commerciale. Vastissimo, nel VII e VI secolo, fu il raggio d’azione dei mercanti di Tharros, né valse a ridurlo l’egemonia di Cartagine sulla Sardegna (dal 510 a.C.), al contrario dell’avvento del dominio romano (238 a.C.), che segnò invece un’inversione nelle fortune dell’antica città. Durante il periodo imperiale Tharros riacquistò il suo ruolo guida nell’ambito del commercio mediterraneo. Sul piano politico-religioso, le prime comunità cristiane appaiono documentate dal IV secolo, mentre una vera e propria organizzazione vescovile è attestata a partire dal VI. L’insicurezza dei mari in età bizantina portò alla riduzione della città in un castrum mentre la popolazione civile costituì il nuovo centro di Sines, presso la chiesa di S. Giovanni di Sinis. L’imperversare delle flottiglie saracene portò a un progressivo decremento della popolazione sino all’abbandono di Tharros-Sines nel 1070. La visita delle rovine prende le mosse dal piccolo locale, all’ingresso degli scavi. Tharros si rivela, sostanzialmente, nel suo aspetto tardoromano (III-IV secolo d.C.), benché non manchino testimonianze cartaginesi e altomedievali. Lasciato il locale espositivo si prende a destra la strada lastricata percorrendola fino a una piazzetta (compitum), che ospitava un’edicola consacrata probabilmente alle divinità che proteggevano i crocicchi, i Lares compitales. Sul lato nord prospetta un cisternone o del castellum aquae, serbatoio conclusivo dell’acquedotto (II-III secolo d.C.) che alimentava una fontana pubblica. Dalla piazzetta si risale, a nord, lungo la strada principale. La via disimpegnava stabilimenti artigianali, negozi e diversi locali di ristoro. Alla sommità del pianoro la vista guadagna a nord l’intera regione del Sinis. Si prosegue verso un’arena subcircolare delimitata da un terrapieno, dove si riconosce il modesto anfiteatro di Tharros (II-III secolo d.C.). L’arena di Tharros occupa parzialmente l’area del tophet, il santuario delle città fenicio-puniche, destinato ad accogliere le urne cinerarie dei bambini nati morti o defunti in tenera età. In uso tra l’VIII e il II secolo a.C., venne impiantato sulle rovine di un villaggio nuragico costituito da capanne circolari (XV-XIV secolo a.C.). Oltre il tophet si individuano le fortificazioni settentrionali della città. Scavi hanno messo in luce i resti delle mura con torri quadrate, in blocchi regolari di arenaria, della cinta cartaginese (fine VI secolo a.C.), cancellate da una cortina muraria in blocchi poligonali di basalto. Si ripercorre a ritroso la strada dall’anfiteatro fino al compitum, mentre la vista spazia, sull’erto promontorio di S. Marco che chiude la penisoletta del Sinis, e sul lungo promontorio della Frasca. Si discende, dal compitum, a sinistra verso il golfo. Lungo la strada lastricata emerge il grande complesso delle terme III, mentre a destra i resti del tempio cartaginese delle semicolonne doriche, del III secolo a.C. La strada si arresta di fronte alle terme I del II secolo d.C. Dalle terme I a destra si raggiunge un edificio, probabilmente un tempio a quattro colonne risalente forse al 50 a.C. circa. Seguendo la strada si giunge in un piazzale trapezoidale che conserva il lastricato esclusivamente nel settore destro: il foro di Tharros, la piazza degli affari su cui gravitavano gli edifici pubblici principali. Il lato sud-est della piazza era delimitato dal portico di accesso alle terme II, del 200 d.C. Lasciate alle spalle le terme II, si risale lungo la strada a sinistra, per ritornare al compitum e, da qui, all’uscita degli scavi.