Oltre l'«Argiletum» s'innalza la facciata dioclezianea, in cortina di laterizi, della Curia, l'edificio dove si riuniva il Senato fondato secondo la tradizione da Tullo Ostilio (Curia Hostilia), riedificato attorno all'80 a.C. da Silla (Curia Cornelia), poi da Cesare (Curia Iulia), che lo fece spostare dove è oggi, e, dopo l'incendio del 283, da Diocleziano. L'esplorazione del complesso, identificato nel 1883 da Rodolfo Lanciani, fu iniziata nel 1900 da Giacomo Boni e ultimata nel 1937 con la demolizione della chiesa che Onorio I aveva dedicato a S. Adriano. L'interno è costituito da una sala rettangolare, con pavimento (in gran parte rifatto) in opus sectile: sui due lati corrono tre bassi ripiani, rivestiti di marmi, su cui poggiavano i seggi dei circa 300 senatori (le votazioni avvenivano «per secessionem»: i favorevoli da una parte, i contrari dall'altra); nel fondo è il basso podio della presidenza, con un piedistallo un tempo occupato dal simulacro della Vittoria (alla fine del sec. IV la statua fu oggetto di contese tra senatori pagani e cristiani) e oggi da una statua porfiretica di un togato romano (forse Traiano), una delle più perfette pervenuteci dall'età imperiale. Nella Curia sono sistemati i cosiddetti plutei di Traiano («anaglypha Traiani»), due marmorei parapetti che pare decorassero la tribuna dei Rostri o che, piuttosto, costituissero una tarda sostituzione dell'antico recinto bronzeo attorno alla cosiddetta aiuola di Marsia. Su due facce sono raffigurate a rilievo le vittime del «suovetaurilia» (verro, ariete, toro), sulle altre l'«institutio alimentaria» di Traiano e la distruzione dei registri delle imposte arretrate. La tecnica narrativa insiste sulla definizione topografica dei luoghi e sull'espediente della continuità della narrazione dei due avvenimenti, verificatisi in realtà in momenti differenti; tipici elementi stilistici traianei sono l'affollarsi delle figure e la ricerca di spazialità nella composizione, sebbene lo sfondo abbia solo valore illusionistico.