Significativo esempio di villa-palazzo della prima età imperiale, la villa romana è ricordata da Svetonio e da Plinio il Vecchio. Saccheggiata nei primi scavi borbonici e spogliata dei pavimenti a tarsie marmoree, fu in parte esplorata da Giuseppe Feola, uno studioso locale; uno scavo completo fu eseguito da Amedeo Maiuri nel 1932-35. La villa copre tutta la sommità del monte Tiberio, su un'area tra la torre del Faro e la vetta del promontorio, con un dislivello di 40 m aggirato con ripiani e terrazze raccordati da scale. A destra, dietro la biglietteria, è la base della torre del Faro, quadrilatera in basso e cilindrica in alto, di età tiberiana. Più avanti è il cosiddetto salto di Tiberio, dal quale la tradizione vuole che l'imperatore gettasse le sue vittime. Dall'ingresso agli scavi, per una rampa si sale al complesso imperiale, organizzato nei vari quartieri intorno a un grande corpo centrale che è occupato da quattro cisterne per la raccolta delle acque piovane: a sud l'ingresso e gli ambienti destinati alle attività termali; a ovest gli alloggi del personale di servizio; a est il quartiere di rappresentanza, con sei ambienti disposti a emiciclo; a nord, la residenza dell'imperatore si compone di un vestibolo e di due ambienti con resti di bei pavimenti a tarsie marmoree policrome; un ampio corridoio e una rampa scendono alla loggia imperiale, la parte più grandiosa della villa, che corre rettilinea per 92 m, e serviva da belvedere o «ambulatio». La rampa di accesso alla villa porta, nel segmento successivo, alla spianata che sovrasta gli scavi,con la cappella di S. Maria del Soccorso: il panorama spazia sull'intero golfo di Napoli e su parte di quello di Salerno.