Un portico dà accesso all'antica prigione di Stato, che venne detta in epoca romana «Tullianum» forse per la presenza di una sorgente («tullus») e rinominata in età medievale. L'attuale facciata di travertino, risalente c. al 40 a.C. come indicato dai nomi dei consoli Caio Vibio Rufino e Marco Cocceio Nerva, ne nasconde una più antica, in tufo. All’interno, un ambiente trapezoidale in blocchi di tufo (sec. II a.C.) al quale si accedeva da una porticina ora murata sul lato destro, comunicava attraverso un foro sul pavimento con l'ambiente sottostante, a pianta circolare in blocchi di peperino, nel quale venivano gettati e quindi strangolati i prigionieri di Stato; sembra infondata la leggenda medievale secondo cui vi sarebbe stato rinchiuso anche S. Pietro, che avrebbe battezzato i carcerieri con l'acqua di una sorgente che sgorga dal sottosuolo (ciò ha fatto ritenere che l'ambiente circolare inferiore fosse in origine una cisterna, trasformata successivamente in carcere). Il luogo, già venerato nel sec. XV, fu consacrato nel 1726 a S. Pietro in Carcere.