Il suo nome deriva da «pio Giano», in quanto sorge sui resti di un precedente tempio dedicato al dio dei passaggi e delle porte. Appartenne nell'VIII secolo ai Benedettini, cui si sostituirono in seguito le abbazie di S. Clemente a Casàuria, di S. Vincenzo al Volturno e di S. Bartolomeo a Carpineto della Nora. S. Maria in Piano godette a lungo di molti privilegi; sullo spiazzo che un tempo si apriva dinnanzi al complesso si tenevano annualmente due importanti fiere: una nei sette giorni dopo la festa dell'Assunta, l'altra il giorno della Natività della Beata Vergine. L'assetto architettonico attuale risale al 1280, quando la chiesa fu ampliata e restaurata secondo lo stile borgognone. Un nuovo mutamento si ebbe nel 1559 con l'aggiunta del portico, dell'ingresso principale, dell'abside poligonale, dei finestroni e di un ingresso laterale all'aula interna. Il campanile è medievale nella parte inferiore, rinascimentale nella superiore, dove le bacinelle policrome maiolicate richiamano S. Agostino e S. Maria Assunta ad Atri. Il portale, ornato da una serie di iscrizioni in lode della Madonna, immette nell'aula gotica interna con fuga di arconi a sesto acuto; la copertura è a capriate a vista, reggenti mattoni in ceramica. L'insieme, reso ancora più caldo dalla pavimentazione in cotto, risulta in parte alterato dalle aggiunte cinquecentesche delle finestre e dalla porta laterale che determinarono la distruzione di varie pitture, quasi tutte dei primi decenni del '400. Gli affreschi delle campate al lato destro - diversi per mano, stile e tecnica - datano dal XIV al XVI secolo; i maestri che li eseguirono, specie per quanto riguarda la 5ª campata, sembrano provenire dalle Marche, ma non mancano tracce di altre letture di carattere giottesco e pugliese. Degli affreschi delle campate del lato sinistro restano soltanto frammenti. La controfacciata è coperta dal dipinto di maggiori dimensioni esistente in Abruzzo. Eseguito almeno in parte a encausto, tratta il tema del Giudizio particolare**, derivandolo dalla visione dell'oltretomba che Alberico da Settefrati aveva avuto all'età di sette anni. Il suo racconto conquistò subito, tanto che Sinioretto, abate di Montecassino dove intanto il fanciullo aveva indossato il saio, ordinò di redigerne una versione ufficiale in latino. Dopo il 1127 la storia di Alberico, nella quale si erano riversati elementi del platonismo classico e della cultura islamica, aprì la serie delle grandi visioni che avrebbero avuto parte di rilievo nella letteratura e nell'arte religiosa del XII secolo. Campeggia in mezzo alla navata la pietra tombale dell'abate G.B. Umbriani, costituita da una lastra circolare che porta inciso, intorno allo stemma di famiglia, la curiosa scritta «a bis linguis et iniquis libera me Domine» (Signore liberami dalle lingue biforcute). Nell'arredo mobile spiccano, nella nicchia centrale dell'altare maggiore, un Crocifisso cinquecentesco e una Pietà policroma di ingenua fattura popolare, entrambi documento della devozione di cui l'edificio fu oggetto nei secoli.