Basta il nome, parco del Valentino, per suscitare romantiche visioni, forse un po' oleografiche, come i versi di Gozzano (“Come una stampa antica bavarese / vedo al tramonto il cielo subalpino... / Da palazzo Madama al Valentino / ardono l'Alpi tra le nubi accese...”) o la sua variante da canzonetta popolare (“Ricordi quelle sere / passate al Valentino / col biondo studentino...”). Perché si chiami così non è chiaro: c'è chi dice che derivi dal giovane martire Valentino (III sec. d.C.), santo protettore degli innamorati, di cui si conservano le reliquie nella chiesa di S. Vito, sulla collina di fronte; oppure dal fatto che qui sorgeva una cappella dedicata a quel santo; o ancora da vallantinum, piccola valle. Il parco vero e proprio sorse intorno a metà '800 sull'area boschiva, ormai insidiata dall'espansione edilizia, di pertinenza dell'omonimo castello, costruito nel XVI secolo. Ma fin dal 1275 alcuni documenti parlano dell'area in riva al Po chiamandola Valentinum. Quando venne progettato dal francese Jean-Pierre Barillet Deschamp era tra i parchi urbani più estesi d'Europa e, pur se ridimensionato, ancora adesso i suoi 45 ettari sono un privilegio che gli abitanti di poche città italiane possono vantare. Si può suddividere in tre fasce: la più settentrionale, delimitata dall'arco monumentale all'Artigliere (Pietro Canonica, 1930), ingresso da corso Cairoli, e dall'Orto botanico; una mediana, dal castello al Borgo Medievale; e infine, più a sud, quella circostante il giardino roccioso. Per le sue strade, soprattutto nella bella stagione e nei week-end, si riversano a piedi o in bicicletta i torinesi, attratti dai suoi grandi prati (quasi la metà della superficie) e dai locali affacciati sull'acqua. Dagli imbarcaderi si parte per gite sul fiume, in battello oppure, più sportivamente, in canoa o remigando su uno scafo leggero.