Difficile immaginare, approdando a Torcello tra barene e lingue di terra verdi e silenziose, che, dal VII al IX secolo, decine di migliaia di persone vivessero qui, nel più importante centro dell’estuario dopo il trasferimento del vescovo da Altino. Dalla dissoluzione dell’antica città, progressivamente abbandonata per l’impaludamento di questa parte di Laguna e ridotta a cava per gli edifici della Venezia in costruzione, si è salvato solo il centro monumentale, in straordinario isolamento, annunciato da lontano dal robusto campanile della Cattedrale; intorno, nell’isola, un ambiente rurale per lo più incolto o tenuto a orti, con tracce dei passati usi agricoli (ma nell’alto medioevo Torcello fu ricca soprattutto per il porto, le saline e l’industria della lana). Dall’approdo, una strada costeggia il canale di Borgognoni e, oltre il cosiddetto il ponte del Diavolo (senza spallette) e la piccola darsena su cui affacciano gli edifici della locanda Cipriani (aperta nel 1935; nel 1948 Ernest Hemingway vi alloggiò e vi scrisse alcuni capitoli del romanzo Di là dal fiume e tra gli alberi), sbocca nello slargo erboso che costituisce la piazza della città scomparsa: a destra, collegati da un portico, la Cattedrale, i resti del Battistero e la chiesa di S. Fosca; a sinistra i palazzi dell’Archivio e del Consiglio; al centro la cosiddetta sedia di Attila, un sedile di pietra forse usato dai magistrati che amministravano la giustizia.