Il «Mons silicis» del tempo romano, il monte di selce, è un cono di roccia nella pianura a sud-est dei colli Euganei, scavato dalla cava di trachite, la «masegna» in dialetto, che per due volte servì a pavimentare piazza S. Marco, trasportata per via d'acqua con i burchi fino alla laguna di Venezia. La cittadina è in basso; i monumenti notevoli s'incontrano lungo la passeggiata che avvolge i pendio: il Castello, il Duomo Vecchio, il Santuario delle Sette Chiese, villa Duodo, a testimonianza di un antico rango. È così, strada facendo, emerge la vicenda di Vittorio Cini, protagonista della finanza italiana del Novecento, meglio noto come filantropo e mecenate, particolarmente generoso con Venezia, sua città d'adozione, dove acquistò l'isola di San Giorgio per farne una certo di cultura internazionale. Conte di Monselice per lasciti paterni, si rese protagonista del restauro del castello, impresa che ha del prodigioso rapportando la rovina iniziale alla perfezione del risultato; arredi, dipinti, tappeti e arazzi, tutto autentico, perfino le suppellettili e gli strumenti musicali; tutto talmente curato che da un momento all'altro si potrebbe veder comparire i suoi antichi signori nelle sale dai grandi camini a torre.>