Con Gravedona e Sòrico costituiva nel medioevo la ‘comunità delle Tre Pievi’, autonoma fino a tutto il ’500. Sul solco di un’antica tradizione siderurgica, nella piana alluvionale a settentrione del torrente Albano si installarono fin dall’Ottocento le prime fabbriche, cui seguirono nel ’900 le acciaierie e ferriere Falck. Ma il nome di Dongo è soprattutto legato alle vicende dell’arresto di Benito Mussolini e di alcuni gerarchi della Repubblica sociale italiana, riconosciuti dai partigiani, il 27 aprile del 1945, a bordo di una colonna di mezzi militari tedeschi diretti verso la Valtellina e il confine svizzero. Mussolini venne trasferito a Mezzegra, vicino a Tremezzo, i gerarchi furono fucilati il giorno seguente sul lungolago di Dongo. Le memorie della guerra di Liberazione, e in particolare le tappe del tragico epilogo del regime fascista, sono rievocate nel Museo della Fine della guerra allestito in alcune sale a pianterreno del municipio di Dongo, il neoclassico palazzo Manzi (al piano nobile è la cosiddetta Sala d’oro, preziosa per le sfavillanti decorazioni dei fregi e delle specchiere).