Il nome deriva dal conte Maldolo di Arezzo, che regalò questo luogo appartato al pio monaco Romualdo. E il nome è usato sia per il monastero camaldolese, sia per il suo eremo a pochi chilometri di distanza, sia infine per la foresta in cui sono immersi: abeti secolari, larici, castagni, aceri, faggi, ippocastani, tigli, sicomori, pioppi tremuli, noccioli, ontani e querce, da sempre curati dai monaci, e ora parte del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna.
Il Monastero fondato da S. Romualdo, ricostruito nel ’200 e in seguito ingrandito, è una massiccia costruzione composta da differenti edifici di epoche diverse: l’antica foresteria con cortile porticato (in origine dell’undicesimo secolo) e con piccolo chiostro quattrocentesco; la Biblioteca di impianto medievale, con finestre del ’200 e del ’400; la chiesa barocca, con dipinti di Giorgio Vasari, e l’adiacente chiostro del 1543. Della stessa epoca è la farmacia, con armadi intagliati in noce.
L’Eremo, prima sede dell’ordine camaldolese, fu istituito da Romualdo nel 1012. Oltrepassate la cappella della Madonna della neve e la cella di S. Romualdo, si raggiunge la chiesa barocca del Salvatore, con all’interno una ricca decorazione sei-settecentesca e un coro ligneo del ’400. Al di là della cancellata in ferro, si allineano lungo viali venti celle (fra undicesimo e diciassettesimo secolo) abitate dagli eremiti, ciascuna composta da portico, cameretta, studio, oratorio, legnaia, fonte e orto.