Così detta dalle botteghe dei fabbricanti di catini ed eretta per i Barnabiti da Rosato Rosati (1612-20) in onore di S. Carlo Borromeo. La facciata in travertino, realizzata da G.B. Soria nel 1636-38, è a due ordini di lesene, con tre portali in basso e un balcone tra due finestre cieche in alto, e presenta coronamento a timpano: le dà notevole slancio il corpo mediano, assai aggettante. Sull’alto tamburo in cotto, scompartito da 12 lesene inquadranti finestroni ad arco, si slancia la cupola del Rosati, ultimata nel 1620. L'interno, originariamente a croce greca ma prolungato con l'abside nel 1638-46, fu restaurato da Virginio Vespignani nel 1857-61. Nella controfacciata, affreschi di Mattia Preti (Carità di S. Carlo Borromeo) e di Gregorio Preti (Missione del santo contro l'eresia) del 1641-42. Nei pennacchi della cupola, Virtù cardinali del Domenichino (1627-30). Nella 1ª cappella destra l’Annunciazione di Giovanni Lanfranco (1624). Nella 3ª (S. Cecilia), scenograficamente decorata da Antonio Gherardi, nel 1692-1700: S. Cecilia e angeli del Gherardi. Sull’altare maggiore (affidato a Girolamo Rainaldi ma eseguito da Martino Longhi il Giovane), S. Carlo Borromeo porta in processione il Sacro Chiodo, notevole pala di Pietro da Cortona (1650); nel catino absidale, Gloria di S. Carlo del Lanfranco (1646); nel coro dietro l'abside, S. Carlo Borromeo in preghiera di Guido Reni. La chiesa sorge su un notevole complesso archeologico, costituito da una serie di ambienti in laterizio risalenti a fine sec. I; due vani contigui furono in seguito unificati e trasformati in ninfeo, e le pareti e le volte rivestite di pomici e di mosaici a eleganti motivi vegetali: di questi restano, caso assai raro in Roma, tracce sul soffitto.