Fondata nel VII secolo, la chiesa fu ricostruita in stile romanico tra il 1117 e il 1132. Ospita insigni sepolture: sant’Agostino (354-430), padre della Chiesa latina e della filosofia occidentale; Severino Boezio (480-526), traduttore di Aristotele e consigliere del re ostrogoto Teodorico; Liutprando (morto nel 744), forse il più grande dei re longobardi cui secondo Paolo Diacono si deve il riscatto delle spoglie del Santo, trafugate dall’Africa in Sardegna dai pirati saraceni. Anche per questo S. Pietro in Ciel d’Oro godette per tutto il medioevo di larghissima fama, come dimostrano illustri testimonianze letterarie, da Dante che la ricorda nel canto X del Paradiso a Petrarca che ne esalta il «grande consorzio» di santi, filosofi e re in una Senile indirizzata a Boccaccio, allo stesso Boccaccio che vi ambienta il finale di una novella del Decamerone. Decaduta rovinosamente nei secoli fino a ospitare una palestra militare e un magazzino, e a subire in età napoleonica il crollo della navata destra, solo alla fine dell’800 un restauro l’ha riportata alla forma attuale. La facciata in mattoni e arenaria, tripartita e a capanna, le loggette cieche, la croce aperta, le decorazioni a bacini di maiolica ne fanno un modello del romanico pavese. L’interno, ribassato rispetto al livello stradale, è a tre navate; i capitelli dei piloni settentrionali (a sinistra) sono originali. Il soffitto, ora a volta, un tempo a cassettoni lignei dorati è all’origine del ‘Ciel d’Oro’ nel nome. Sull’altare maggiore spicca l’arca di S. Agostino (1362): in marmo, a tre piani (un basamento, una cella e una cimasa), è una selva di statue e bassorilievi che raccontano la vita del santo filosofo. È attribuibile a mani diverse che risentono dell’influsso sia del pisano Giovanni di Balduccio sia dei maestri campionesi.