Dopo due secoli di oblio e un restauro durato 8 anni, nel 2007 la Venaria Reale è tornata a risplendere, con le sue 50 sale distese lungo 2 chilometri. Il complesso della reggia è frutto di diversi interventi architettonici susseguitisi dal primo progetto (1659) di Amedeo di Castellamonte (di cui è testimonianza il Castel­vecchio, il corpo posto all'ingresso, alla destra della torre dell'Orologio) fino ai radicali ritocchi di Benedetto Alfieri, un secolo dopo. La corte d'onore, originariamente articolata in due spazi distinti, è aperta sulla destra verso il giardino basso, mentre a sinistra è chiusa dalla galleria di Diana. Un'ellisse di 120 metri corona i resti della seicentesca Fontana del Cervo, di cui restano soltanto le fondamenta e parte delle decorazioni, incastonate in un teatro d'acqua fatto di 288 augelli capaci di getti alti fino a 10 metri, animati da scenografici giochi di luce e aliti di vapore. Sullo sfondo sorge il nucleo primigenio della residenza, il palazzo di Diana, realizzato da Castellamonte tra il 1660 e il 1663. L'impianto fortemente simmetrico (poi alterato dalle trasformazioni promosse da Michelangelo Garove, ben visibili sulla parte sinistra) ha il suo fulcro nel grandioso salone di rappresentanza, il salone di Diana, dotato di uno straordinario impianto decorativo (affreschi allegorici, stucchi, erme di satiri, ninfe, trofei di caccia), i cui temi iconografici furono ideati dal poeta di corte Emanuele Tesauro, che reinterpretò il mito di Diana come una metafora morale dell'ordinamento civile su cui doveva trovare fondamento il potere sabaudo. Gli affreschi della volta, che celebrano Diana incoronata da Giove come dea di tutte le caccie, sono di Jan Miel (1661-63), pittore di corte e protagonista del rinnovamento, in senso classicistico, della pittura in Piemonte del XVII secolo. Impostata alla fine del '600 dal Garove come luogo di collegamento tra la reggia e le scuderie, la Galleria Grande, detta galleria di Diana, tra 1716 e il 1718 venne completamente riplasmata da Filippo Juvarra che ne fece uno dei suoi capolavori architettonici, nonché il luogo più memorabile di tutta la Venaria. Lunga 80 m, ma perfettamente proporzionata in ampiezza e in altezza (12 m), è un 'teatro di luce', grazie all'articolata disposizione delle aperture che illuminano il fastoso apparato di stucchi. Sempre di Juvarra sono la cappella di S. Uberto, patrono dei cacciatori, iniziata nel 1716, ma incompleta della cupola (sostituita dall'illusione di un trompe l'oeil), e il grandioso insieme della citroniera e della grande scuderia (1722-27), edifici di straordinaria maestosità se si considera le destinazioni 'di servizio'. Nei locali anticamente destinati ai cavalli, dal 2005 opera il Centro per la Conservazione e il Restauro dei Beni culturali, terzo in Italia nel suo genere, corredato di una scuola di alta formazione. A Benedetto Alfieri, che fu attivo alla Venaria negli anni tra il 1739 e il 1753 e poi ancora nel 1765, si deve gran parte dei corpi di raccordo, come la torre del Belvedere, che affianca la cappella di S. Uberto, le scuderie piccole, la rimessa per le carrozze e anche il maneggio. A lasciare il segno più recente è invece il regista cinematografico Peter Greenaway, che ha curato l'allestimento del moderno percorso di visita.