Simbolo del rinascimento milanese, la chiesa, insieme al suo convento domenicano e al chiostro, fu edificata a partire dal 1466 su progetto di Guiniforte Solari. Quando era oramai quasi completata, però, non rispondeva più alle ambizioni artistiche e politiche di Ludovico il Moro, allora duca di Milano, che la elesse a cappella gentilizia. Ludovico ordinò così non soltanto l’abbellimento della chiesa – il portale marmoreo fu realizzato nel 1489 da Benedetto Briosco – ma una sostanziale rifondazione, affidando a Bramante la costruzione del tiburio. La visuale migliore si ha da via Caradosso, dove si può apprezzare il blocco di base cubico su cui si innestano le absidi laterali e dal quale sporge il parallelepipedo absidato del presbiterio; intorno al tiburio, a sedici lati, corre una loggia ad archi su colonne binate, che regge la cupola senza trabeazione. Oltre al tiburio, il progetto voluto da Ludovico il Moro portò a termine la costruzione della sacrestia e del chiostrino quadrato di collegamento. La solenne arca funeraria fatta costruire per contenere le spoglie dell’amatissima moglie Beatrice d’Este, morta di parto nel 1497, non fu mai collocata al centro della tribuna, come il duca avrebbe voluto, e finì alla Certosa di Pavia. (Come si sa, Ludovico fu travolto dagli sconvolgimenti politici di fine secolo, e morì in esilio in Francia). L’adiacente monastero domenicano fu dal 1553 fino al 1778 la sede milanese dell’Inquisizione. Trasformato poi in caserma, fu demolito a fine ’800, e a partire dal 1895 Luca Beltrami effettuò energici interventi di restauro. L’interno della chiesa ha cappelle su entrambi i lati, ed evidenzia l’impostazione gotica di Solari con le sue arcate ogivali sulle due file di colonne. Le volte recano una decorazione a fresco risalente all’epoca della costruzione, riscoperta dopo essere stata nascosta nel ’600; figure di santi domenicani, attribuite a Bernardino Butinone, appaiono affrescate ai pilastri delle navatelle. La prima cappella destra conserva alla parete sinistra la tomba Della Torre (1483), di Francesco Cazzaniga; nella quarta si trovano affreschi riportati (episodi della Passione) di Gaudenzio Ferrari e aiuti. La cupola della tribuna è sorretta da quattro arconi collegati da pennacchi. Nel presbiterio, a pianta quadrata chiusa da abside, con volta a ombrello e oculi ricavati negli archi di imposta, è notevole il coro ligneo a intarsi (1470-1510), su due ordini di stalli. Nella sesta cappella sinistra spicca una pala (Sacra famiglia con S. Caterina d’Alessandria) di Paris Bordon (1545). Accanto, si passa nella cappella della Madonna delle Grazie, matrice della chiesa, ricostruita dopo la seconda guerra mondiale; all’altare, la tavola quattrocentesca – oggetto di grande venerazione durante la pestilenza del 1576 – da cui il complesso prende nome. Dalla tribuna si passa nel chiostrino porticato, che dà accesso alla sagrestia Vecchia, sorta nel 1499 e restaurata entro il 1982; alle pareti armadi intarsiati, dipinti e resti di affreschi coevi alla costruzione. Dal 2009 la sagrestia Vecchia ospita, in collaborazione con la Biblioteca Ambrosiana, un’esposizione di fogli sfascicolati del Codice Atlantico di Leonardo.