Ho perso il conto delle Eroiche precedenti. Quella di domenica scorsa però è stata la prima pedalata insieme a Pepe, mio figlio, che agli amici di Gaiole, per una curiosa forma di incontrollabile mimetismo linguistico, mi veniva di presentarlo come “il mi' figliolo”.
 
Non so se sia venuto per fare un piacere al vecchio. Forse sì. Forse però c'aveva anche voglia di provare. Per anni si è sentito raccontare, un po' per lavoro, un po' per divertimento, di bici eroiche, di strade bianche, di maglie di lana colorate e istoriate dai nomi più strani, di partenze alla francese, di ristori a rosso e ribollita. Insomma della gran festa del popolo del pedale che da ventun anni ai primi di ottobre pianta le tende a Gaiole in Chianti, capitale per un weekend della Libera Repubblica delle Biciclette. Quest'anno è toccato anche a lui.
Un altro Ginettaccio sulle strade di Toscana /foto Guido P. Rubino 
L'EDUCAZIONE ALLA FATICA
Il ciclismo, forse più di altri, è uno sport di tradizione che vive e si alimenta del proprio passato, se non delle proprie leggende. L'Eroica ne è la dimostrazione. Far rivivere, come in una rappresentazione teatrale collettiva, le gesta, appunto eroiche, del ciclismo antico, quello dei pionieri coi baffi a manubrio e gli occhialoni antipolvere o quello dell'epoca d'oro di Bartali e Coppi, fino a Merckx e Gimondi, non è solamente una semplice operazione amarcord, una nostalgica rievocazione all'insegna del “où sont les vélos d'antan”.
 
L'Eroica, da vent'anni, racconta che il cuore popolare del ciclismo continua a battere a dispetto delle sbandate, delle derive, del discredito di uno sport che ha spesso negli ultimi anni venduto l'anima al diavolo. Si viene dunque all'Eroica anche per questo: per apprezzare insieme l'educazione alla fatica. Nel mondo del tutto e subito è sempre più difficile insegnare e imparare la fatica. La fatica come traguardo da conquistare senza scorciatoie o corsie preferenziali.
 
Scoprire che c'è del bello nel fare fatica è proprio il segreto dell'Eroica, che il bello, sia esso il paesaggio toscano o l'eleganza inimitabile di un telaio fatto a mano, lo celebra e lo difende.
Anche per questo all'Eroica vale la pena portare i figli. Sarà stata forse la presenza di Pepe, ma a me quest'anno l'Eroica Gaiole XXI edizione è sembrata un'Eroica più giovane. Non importa se è una moda, come dicono in molti; quello che conta è che la Leggenda delle Strade bianche attiri la curiosità, magari anche facile o solo di facciata, dei giovani. E che una volta messi in sella, tra la salita di Brolio e il ristoro di Volpaia, tra il pozzo di Lucignano d'Asso e il Monte Sante Marie, imparino a riconoscere i principi “eroici” del pedalare: e che, per brevità, si possono riassumere nel punto 14 del Vademecum del Ciclista Eroico, firmato Giancarlo Brocci: “Il ciclista eroico pensa che il mondo, visto da una bici, abbia un aspetto migliore”.
Lamberto Mancini e parte del "team Tc(c)I" alla partenza dell'Eroica 2017 /foto J. Zurlo
EDIPO E LA FEVER PITCH
Con Pepe è stata una bella sfida dai tratti inequivocabilmente edipici. Naturalmente ha “vinto” lui. Nonostante abbia sbagliato strada alla prima curva. Nonostante i suoi bramiti di tosse da giovane sciocco cervo fumatore clandestino. Nonostante mi abbia ciulato la giacchetta antivento muovendo la pietà paterna per i suddetti colpi di tosse. Nonostante per due volte lo abbia ripreso e superato a mezza salita, piantato piede a terra dopo essere partito a sparo tutte le volte che la strada s'impennava. Tutte, tranne l'ultima, quando mi ha salutato e se ne è andato in fuga, in compagnia di un amico del papà poco più grande di lui, se non altro per guadagnare il vantaggio di una birra e forse di una siga, sul traguardo di piazza Ricasoli, dove ha confessato di essersi stirato la maglietta come fanno i corridori veri al cospetto dei fotografi. La faccia che aveva quando sono arrivato una mezz'oretta dopo di lui è stato il più bel regalo che poteva farmi.
Gino e Pepe Cervi alla fine dell'Eroica 2017 
Il giorno dopo il giovane cervociclista faceva segnare 38,6°C: febbre eroica. Non lo ammetterebbe neppure sotto tortura, ma son sicuro che pasteggerebbe ancora per qualche giorno a tachipirina pur di avere avuto la soddisfazione di lasciarmi qualche tornante sotto.