C’è chi sostiene che già i Romani assegnassero dei numeri alle bighe, così da poter punire i conducenti più spericolati. È comunque certo che le prime targhe automobilistiche entrarono in funzione, esattamente per lo stesso scopo, a Parigi nel 1893. In Italia, nelle Legazioni dello Stato Pontificio una disposizione dell'11 febbraio 1851 obbligava i possessori di veicoli, calessi, vetture o carri, all'uso di una targa d'ottone a lettere e cifre in rilievo. La prima auto immatricolata a Milano fu una De Dion Bouton, nel 1904. E sulla placca di metallo smaltato si trova ancor oggi il marchio del Tci.

Cambiano i tempi e le tecnologie, oggi in tutta Europa si sono diffusi i sistemi computerizzati di lettura delle targhe automobilistiche, e arrivano i dolori. In mancanza di una targa unica comunitaria (il cui progetto giace a Bruxelles da tempo), cominciano a fioccare i verbali “pazzi”. Già perché l'occhio del computer non bada alla grafica, alla forma, o al colore della targa, ma è solo in grado di leggere le combinazioni di lettere e numeri che riporta, spesso senza neppure registrare marca e modello del veicolo...

Prime vittime delle "combinazioni birichine" gli italiani le cui vetture sono immatricolate con la sigla iniziale “CC” o “CD”, cui puntualmente sono notificate multe per infrazioni commesse da veicoli con targa diplomatica ai quattro angoli del continente. E non sempre è facile spiegare alla polizia francese, spagnola o svedese, che nulla si ha a che fare con la limousine diplomatica che ha percorso una corsia riservata a Parigi, Madrid o Stoccolma.

Ma dallo scorso aprile il livello dall’allarme si è alzato: la vicina Francia ha infatti adottato un sistema di numerazione identico (due lettere, tre cifre, due lettere) a quello italiano. E non è detto che l’operatore chiamato a validare il verbale (in Italia: in altri Paesi europei l'interpretazione delle riprese computerizzate avviene spesso in modo del tutto automatico, senza l'intervento di un poliziotto) sia capace di distinguere a colpo d’occhio le sottigliezze grafiche (trattini, marchietti nella banda destra) che consentono di capire quale sia il reale Paese d’origine del veicolo. In più, non aiuta certo l'identificazione corretta dei veicoli l'assenza di una anagrafe centrale comunitaria delle immatricolazioni.

Sempre per parlare di rischi di equivoco, le più recenti targhe ungheresi ricalcano in tutto e per tutto, grafica e numerazione, quelle svedesi. Col risultato che innocenti contadini della Scania si vedono notificati verbali per eccesso di velocità rilevati automaticamente sulle strade delle vacanze in Spagna ma, in realtà, da attribuire a veicoli provenienti da Budapest…

Uniche a salvarsi le targhe tedesche, dotate di caratteri antifalsificazione che le rendono inconfondibili nella Ue, almeno all'apparenza. Ma nella sostanza le sigle possono ricalcare quelle di Francia e Italia senza problemi: la targa AC 188 AH può indicare una vettura immatricolata ad Acquisgrana (Germania) ma è compatibile sia col sistema italiano sia con la numerazione francese, giusto per fare un esempio.

Senza dimenticare le targhe “esotiche”. Stabilito che dovrebbero consentire di identificare univocamente un utente della strada (magari in caso d’investimento), la domanda sorge spontanea: “chi mai sarà capace di riconoscere al volo una targa bosniaca (BIH) o montenegrina (MNE, nella foto)?”

Per non parlare dei mezzi con targhe corredate di caratteri cirillici o arabi, che richiedono una cultura linguistica ad hoc per essere decifrate. Oppure di quelle di mezzi appartenenti a entità amministrative "nebulose", come la Transnistria, de facto repubblica indipendente della Moldavia...

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