Anche se crediamo di sapere tutto dell’America Latina in realtà ne sappiamo veramente poco. «Abbiamo un’idea vaga, andiamo avanti a stereotipi: il tango argentino, il samba e il calcio in Brasile, il rhum a Cuba. Questo non mi è mai piaciuto» racconta Stefano Malatesta. Profondo conoscitore del continente sudamericano ne “L’uomo dalla voce tonante” (Neri Pozza, pag. 240, euro 17) ha cercato di «raccontare la complessità di queste terre, le grandi differenze tra le culture di ogni Paese. Soprattutto per rendere giustizia alla sua gente» spiega lo scrittore.
 
La sua prima volta in Sud America?
Andai in Cile la prima volta nel 1973 qualche giorno dopo il golpe di Pinochet. Avevo 33 anni e chiesi a Saverio Tutino, giornalista dell’Unità che allora viveva a Cuba, di venire con me. Lui conosceva tutti da quelle parti, aveva ospitato Allende a casa sua, e veniva a vedere che fine avevano fatto i suoi amici. Entrammo grazie a un salvacondotto americano. Gli americani, nonostante avessero appoggiato il golpe, a quei tempi consentivano sempre ai giornalisti di andare a vedere cosa accadeva: per loro la libertà di stampa viene davanti a tutto. Quell’esperienza mi ha insegnato molte cose e mi ha fatto innamorare dell’America Latina dove sono tornato periodicamente.
Perché il Sud del Sud America ispira tanto gli scrittori?
Perché la Patagonia e la Terra del Fuoco sono un mondo ancora primitivo, con panorami incredibili, un tempo idilliaco che poi diventa infernale. Avevo una mappa di tutti i naufragi del pianeta e in quelle acque c’è una concentrazione dieci volte superiore al resto del mondo. Questi posti non possono che essere poetici e ricchi non solo. Sono terre romantiche e terribili, terre per scrittori e letterati.
 
E infatti l’America Latina ha sfornato alcuni dei maggiori autori del Novecento...
Nel libro parlo di tanti di loro che ho incontrato negli anni, da Octavio Paz a Ernesto Sabato, da Bioy Caceres al quasi sconosciuto, almeno in Italia, Carlo Coccioli. Mi spiace solo non essere riuscito a inserire un pezzo su quello che personalmente considero il migliore di tutti: un colombiano che secondo me è molto superiore a Gabriel Garcia Marquez, Alvaro Mutis.
Chi è l’uomo dalla voce tonante del titolo?
Pochi giorni dopo il mio arrivo a Santiago, nel 1973, partecipai a un evento storico: i funerali di Pablo Neruda. Ricordo che davanti a casa sua c’erano due, trecento giovani che sfidavano la polizia che li fotografava e li schedava. Quando uscì la bara la salutarono con il pugno chiuso, cantando l’Internazionale. Era un momento commovente. A un certo punto un gigante con i capelli lunghi saltò su un muretto e fece un elogio funebre di Neruda. Venticinque anni dopo, mentre intervistavo Francesco Coloane, stavamo parlando di quel funerale e dell’emozione che mi fece l’orazione di quel gigante dalla voce tonante. Allora lui si alzò, mi abbracciò e disse: «Quel gigante ero io».