A guardare il traffico e i camini fumanti di questi giorni prenatalizi c’era da aspettarselo. L’Italia risulta 44esima, su 57 Paesi analizzati, nell’Indice sul clima 2010 presentato gli scorsi giorni dall’associazione tedesca Germanwatch alla conferenza di Copenaghen Cop15. Un record negativo superato da ben pochi Stati.

L’Indice valuta le performance ambientali considerando tre fattori: il livello complessivo di emissioni di anidride carbonica, le tendenze delle emissioni nocive in settori come quello energetico, trasporti, residenze e industrie, e le politiche messe in atto per la lotta al cambiamento climatico. E proprio su quest’ultimo punto l’Italia si inceppa in particolar modo. Perché, nel Paese più bello del mondo, da anni non si applica una politica unica e coordinata in tutte le regioni? Perché sono le singole iniziative, come i comuni virtuosi, a funzionare? Difficile rispondere a queste domande anche viste le difficoltà a trovare una linea comunque tra tutti i Paesi presenti nella capitale danese.

A chi va la maglia verde del migliore? A sorpresa al Brasile che, recentemente, ha avviato regole più severe contro la deforestazione dell’Amazzonia. Seguono la Svezia, il Regno Unito, che ha appena approvato una legge specifica sulle politiche climatiche, la Germania, la Francia, l’India e la Norvegia. Fra i tristi fanalini di coda Cina e Stati Uniti, ma c’era da aspettarselo, anche Australia, Kazakistan, Canada e Arabia Saudita.

Certo, siamo in bella compagnia, ma c’è poco da scherzare. Nella speranza che un accordo si raggiunga a Copenaghen, si potrebbe prendere come esempio l’isola di Samsø in Danimarca, totalmente carbon free grazie allo sfruttamento di vento e sole. Difficile raggiungere tali virtuosismi in Italia, ma è comunque il momento di iniziare a prendere sul serio l’allarme sui cambiamenti climatici.