“Sui gradini di Piazza di spagna, c'è il sole alto e la pioggia che bagna...” È dai magici anni Sessanta cantati dai Rokes che la gente, i romani, i bighelloni, i perdigiorno, e i turisti si siedono per riposarsi o darsi un appuntamento sulla magica scalinata di travertino che porta dalla piazza omonima fino a Trinità del Monti, uno degli angoli più suggestivi, magici e fotografati di Roma. E fin qui poco male. Il problema è che ormai da troppo tempo e nel disinteresse per non dire del menefreghismo delle istituzioni locali, non ci si limita più a sedersi sui gradini ma si mangia, si bivacca, si improvvisano concerti, si dorme, si staziona la sera tardi e quel che è peggio, si lasciano spesso e volentieri i resti del pic-nic, lattine, gomme masticate, cartacce e si scrivono o si incidono i nomi a eterno souvenir della propria esistenza in vita e del passaggio nella capitale italiana.
Paolo Bulgari, erede dei gioiellieri che da generazioni hanno aperto una boutique nella vicina via dei Condotti, ha generosamente finanziato la ripulitura e il restauro dell'opera che risale al 1725. Poi visto l'andazzo, si è spinto più in là proponendo di sbarrare con una bella e artistica cancellata la scalinata e di chiuderla la sera per evitarne il degrado e preservarla dall'opera distruttrice dei vandali. È giusto? È fattibile? È una buona idea? È solo una necessaria provocazione? A Roma e non solo si è scatenato il dibattito e sono corse opinioni. Contro i barbari, domestici e stranieri, si sono rispolverate vecchie ricette, si è lanciata l'idea della creazione e dell'intervento di immaginifici “pretoriani della cultura”, di fantomatici “custodi del decoro”...
Ora sarà tutto stimolante ma ricordo che durante la mia infanzia le mamme usavano condurci nel pomeriggio al fresco a respirare un po' di ossigeno nella vicina splendida villa Sciarra al Gianicolo dove tuttavia gli spazi per il gioco erano limitati e le aiuole erano rigorosamente off limits. Per un'imprudenza noi ragazzini lanciammo alto il pallone che finì su un prato. Il tempo per me di attraversarlo a piedi e di recuperarlo e l'arrivo in bicicletta di un pacioso vigile urbano che stazionava nella guardiola vicino ai cancelli di ingresso fu brevissimo. Ricordo che venni gentilmente preso per la mano e accompagnato da mia madre che leggeva tranquillamente seduta su una panchina. Dopo una pacata ramanzina lei dovette persino pagare una multa per non avermi controllato. Altri tempi? Certo ma per controllare il decoro di tutta la villa bastava solo quel vigile. Ora sparito il “pizzardone”, la villa è preda di allegre compagnie di campeggiatori, giocolieri, calciatori e le aiuole semplicemente non esistono più.
Ma se semplicemente a Roma i vigili urbani ricominciassero a battere come una volta i marciapidi e le strade anziché starsene rintanati negli uffici o chiusi a chiacchierare in quelle orribili automobili targate pomposamente Roma Capitale, non potrebbe essere un'idea risolutiva e a costo zero? E per tornare in piazza di Spagna, in attesa del ritorno nelle scuole delle lezioni di educazione civica e di un auspicabile ma lento sviluppo della sensibilità per la cultura e per il bene comune, non basterebbe intanto la presenza regolare di un vigile, uno solo, nei pressi della scalinata a evitare gli eccessi e a controllare, con un fischietto e il libretto delle multe in tasca, il regolare flusso e il comportamento di turisti e cittadini, anziché imbarcarsi in faraonici lavori di chiusura? Cancellate e barriere, oltre che discutibili dal punto di vista urbanistico-estetico, chiuderebbero poi una comoda e diretta via di accesso tra la collina del Pincio e “il tridente” cuore della Roma barocca, costringendo passanti e turisti a una tortuosa salita per via Capo Le Case e via Sistina o a inerpicarsi sulla ripidissima via San Sebastianello.