Quando viaggiare non è un’opzione praticabile per i motivi che tutti sappiamo ed è giusto fermarsi e stare in casa finché l’onda non sarà passata. E dalla poltrona del salotto, dalla sedia in balcone, dal comodo del proprio divano si può comunque continuare a muoversi con la mente mettendo in pratica quello che i britannici chiamano “armchair travel”, ovvero la lettura di libri di viaggio. Reportage che permettono una innocente evasione in compagnia di chi è partito per saziare la sua curiosità o lo spirito d’avventura ed è tornato per raccontarlo. Racconti di prima mano di mondi lontani e diversi, esperienze ricche di passione, empatia e divertimento spesso in zone periferiche che magari mai visiterete, ma che stuzzicano fantasia e voglia di scoprire. E poi, chi lo sa, non è detto che a emergenza finita, non si decida di partire con un libro sotto braccio per visitare i luoghi di cui si è letto in questi giorni…

Ecco l'undicesima tappa.

Ci sono luoghi del mondo in cui anche i viaggiatori più esperti vanno raramente e controvoglia. Lagos, in Nigeria, è uno di questi. Megalopoli da 11 milioni di abitanti ufficiali, capitale fino al 1991, si dice che Lagos in realtà abbia circa 21 milioni di abitanti, dispersi nei meandri di un agglomerato urbano che si estende per decine di chilometri lungo la costa e si addentro dentro la foresta. Umida, povera e caotica, Lagos è anche pericolosa, corrotta e invisibile. Avamposto della globalizzazione in Africa, è una metropoli enorme che brulica di vita in ogni angolo delle sue strade polverose. Un posto così è una miniera di storie per chiunque abbia l'ardire di avvicinarsi e abbia coraggio di raccontarlo. Ma il punto è proprio questo: Chatwin sarebbe andato a Lagos, oggi? Meglio la Patagonia. E allora, chi vuole fermarsi a Lagos per morire di caldo e rischiare di essere rapinato ogni volta che mette il naso fuori di casa per scrivere un libro? Forse qualcuno che a Lagos c'è nato e per questo nutre per questo grumo umano un qualche sentimento. Questo qualcuno è Teju Cole, scrittore nigeriano trapiantato negli Stati Uniti che a Lagos ci è nato e cresciuto, prima di imbarcarsi su di un aereo per andare a studiare medicina negli States.

Verso la sua città natale Teju Cole ha un rapporto che è un misto di rabbia e amore, come racconta in Ogni giorno è per il ladro (Einaudi, pag 142, 16 €). Rabbia, perché non si può accettare di vivere in un posto così, dove ogni diritto è negato, ogni atto pubblico è un sopruso, ogni giornata è una battaglia. Amore, perché alla fine a Lagos c'è nato. Eppure nonostante questo amore filiale Cole non sopporta quasi nulla di come va la vita a Lagos. «Hai qualcosa per me, signore?» è una domanda che ci si sente ripetere a ogni passo, a Lagos. Anche sei nato qui, anche se non appari diverso da tutti gli altri. «Hai qualcosa per me, signore?» non è una richiesta di elemosina ma è un modo di prendere la vita in un Paese in cui il diritto è confinato ai libri e l'arrangiarsi è legge. Come è legge la violenza. Violenza fisica, violenza verbale, violenza morale di vivere in una città mastodontica dove quasi nessuno pensa al prossimo, ma tutti sono intenti a sbarcare il lunario. «Hai qualcosa per me, signore?».

Teju Cole racconta tutto questo con passione e dolore, con l'occhio e la penna del narratore capace di inserirsi negli anfratti dell'economia informale che manda avanti la vita della maggioranza degli abitanti di Lagos. Con la capacità di osservare propria di chi si riesce a mimetizzarsi in ogni dove ed è capace di capire almeno in parte quel che prova la gente di Lagos. Un libro di viaggio in cui fisicamente ci si muove pochissimo, ma si imparano tante cose su una città dove difficilmente qualcuno dei lettori metterà piede. Soprattutto perché, dopo aver letto Ogni giorno è per il ladro, ci si chiede una volta di più che senso abbia andare per turismo in un posto del genere.
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